La crescita italiana frena. La conferma arriva sia dal Fondo monetario internazionale, che dal Centro studi di Confindustria, che ieri ha presentato il suo rapporto semestrale di previsione intitolato, significativamente, «I nodi della competitività». Per gli economisti di Washington il Pil italiano quest’anno non andrà oltre lo 0,7 per cento, e il prossimo non supererà lo 0,8 per cento. Le previsioni del Centro studi di Viale dell’Astronomia, guidato da Alessandro Fontana, sono leggermente migliori: 0,8 per cento di crescita nel 2024 e 0,9 per cento nel 2025. Numeri più pessimistici di quelli che il governo, solo pochi giorni fa, ha indicato nel suo Piano strutturale di Bilancio, dove la crescita è indicata allo 0,8 per cento quest’anno e all’1,2 per cento il prossimo. C’è però chi, come Andrea Montanino, direttore delle strategie settoriali di Cdp, il 2025 potrebbe dare qualche sorpresa positiva, soprattutto se si riuscirà ad accelerare sulle spese del Pnrr. Si vedrà. Comunque sia, il rallentamento dell’economia ha diverse cause. Confindustria ne individua però due in particolare: la crisi della Germania (che rende «debole» l’economia del Vecchio continente proprio mentre quella mondiale riprende quota) e il «crollo del settore dell’auto, che quest’anno e tornato al livello di produzione di inizio 2013». A gravare sulla crescita è anche il costo dell’energia, strutturalmente più alto in Italia che negli altri Paesi europei. Le buone notizie continuano invece ad arrivare dall’export, che fa da «principale traino» alla crescita quest’anno. Insomma, in un quadro di perdita di competitività dell’economia europea rispetto a quella degli Stati uniti, «l’Italia», ha spiegato il vice presidente di Confindustria Lucia Aleotti, «sta tenendo botta». Il Pil, ha spiegato, non galoppa ma cresce e «anche Fitch quando ha migliorato l’outlook», ha sottolineato Aleotti, «ci ha riconosciuto una crescita dal pre-pandemia superiore alla media Ue».
IL PASSAGGIO
Restano però, una serie di problemi strutturali che andranno affrontati. La denatalità è uno di questi. A causa del crollo delle nascite, nei prossimi cinque anni, spiega il rapporto del Centro studi di Confindustria, aumenterà la difficoltà delle imprese a trovare lavoratori. Il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro, che lo scorso anno ha riguardato 2,5 milioni di posizioni, vedrà nel prossimo quinquennio aggiungersi altri 1,3 milioni di lavoratori “introvabili”. L’unica alternativa rimane quella di “importare” mano d’opera. Considerando gli ingressi già previsti dal decreto flussi, spiega il Rapporto, «il mismatch potrebbe essere colmato ampliando gli ingressi di lavoratori stranieri di circa 120mila l’anno». A frenare l’incrocio tra la domanda e l’offerta di lavoro, in Italia ci sono anche i «costi di alloggio troppo elevati rispetto a produttività e quindi salari». Per Confindustria si tratta di un freno alla mobilità dei lavoratori, da qui il pressing per il piano casa che il presidente degli industriali Emanuele Orsini ha messo tra le priorità della sua agenda.
Ma in cima alle preoccupazioni degli industriali ci sono le conseguenze delle norme europee sul green deal. Gli effetti delle decisioni prese durante la scorsa legislatura comunitaria, si vedono chiaramente sul settore dell’auto con il crollo della produzione e la crisi che ha raggiunto anche la Germania con la minaccia di chiusura di alcuni stabilimenti tedeschi da parte della Volkswagen. Il punto è che nessuna delle ìniziative legislative europee è stata preceduta da un’analisi di impatto e di costi-benefici. L’auto elettrica, per esempio, secondo le simulazioni contenute nel Rapporto di Confindustria, a parità di classe, costa in dieci anni, 5.700 euro in più di una a diesel o benzina. Le colonnine di ricarica restano poche. Il calo del settore non sembra insomma essere casuale. E ora stanno per entrare in vigore le nuove norme sugli Ets, che rischiano di mettere fuori mercato la ceramica italiana e quella parte di acciaio che serve proprio il settore auto. Nel fronteggiare queste politiche autolesionistiche, ha garantito Aleotti, Confindustria «non sarà timida».
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