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Bucci, se la malattia in politica non è più un ostacolo


Ma chi ha detto che i politici devono per forza essere sani, oltre che virtuosi e possibilmente belli nel fisico? Lo dicevano i greci, chiamavano questo mix la kalokagathìa, ma non è detto che avessero per forza ragione loro. Sono tanti gli esempi di leader che, in condizioni di salute difficoltose, hanno realizzato cose importanti. E’ questa la morale che ha portato il centrodestra a puntare su Marco Bucci; che ha spinto Giorgia Meloni a dirgli «io faccio le valutazioni politiche e in base a queste dico che tu sei la persona giusta per vincere e per governare la Liguria, e quanto alle valutazioni personali, cioè se te la senti fisicamente di candidarti, quelle spettano a te»; e che ha convinto il sindaco di Genova ad accettare la proposta di correre come presidente regionale: «Ho il cancro ma la campagna elettorale può essere una buona terapia». Queste le sue parole.

LE NOVITÀ
E’ una persona seria Bucci, e un amministratore trasversalmente apprezzato, perciò la sinistra teme che la sua candidatura possa fermare il competitor, Andrea Orlando. Ma il dato culturalmente rilevante è che Bucci ha introdotto alcune novità — o almeno ha fatto una nuova chiarezza — per quanto riguarda il rapporto tra la malattia e il potere. Parla così il candidato presidente: «Ho il cancro ma lavorare mi fa bene. Quando uno è malato, essere impegnato tutti i giorni aumenta l’adrenalina, che poi favorisce il sistema immunitario. Se invece ci si abbatte e ci si lascia andare, va peggio. Diciamo che fare la campagna elettorale potrà aiutarmi». In fondo questa è la tesi che conferma quanto è accaduto, per esempio, subito dopo Tangentopoli. Quando, in diversi casi, politici che erano stati investiti da Mani Pulite finirono per ammalarsi: probabilmente erano malati già da prima ma l’ardore della battaglia politica e il peso delle responsabilità pubbliche li sorreggevano. Mentre il ritorno a casa, fuori da ogni incarico e sotto la gogna, oltre alla depressione ha anche prodotto in alcuni di loro un abbassamento delle difese immunitarie e favorito il diffondersi degli acciacchi. E’ un tema delicatissimo quello del rapporto tra il corpo della persona e l’impegno al servizio del corpo elettorale e del sistema istituzionale a tutti i livelli, da quello comunale a quello delle alte sfere dello Stato. Bucci sta avendo la forza e la sincerità di affrontare il tema parlando di sé: «Soffro di un tumore metastatico alle ghiandole linfatiche nel collo. Me l’hanno diagnosticato il 30 maggio. Operato il 3 giugno. Capisco i dubbi sulle mie condizioni di salute, sono legittimi, ma ce la posso fare». E ancora: «Se mi rimangono tre anni di vita, li spenderò per la Liguria. Se ne ho cinque, riesco a fare il presidente fino al termine del mandato. Se poi me ne restano altri dieci, me li faccio tutti in barca a vela».

E così, Bucci smonta due miti in una volta sola. Il primo: quello per cui, a differenza di come si è sempre fatto, basti pensare ai leader sovietici ma anche a tanti leader democratici (Ronald Reagan ammise di avere l’alzheimer solo nel ‘94, cinque anni dopo la fine della sua presidenza, per non dire di Biden che ha cercato di nascondere fino alla fine la probabile malattia degenerativa che lo riguarda), il male va sempre nascosto e mai dichiarato. Il secondo: si può benissimo fare politica anche se malati, si può essere unfit fisicamente ma fit politicamente e anzi, addirittura, la militanza pubblica può agire come medicina lenitiva. Non sempre è così, come è ovvio: e il caso di Bossi mai tornato veramente in pista dopo l’ictus dell’11 marzo 2004 (ma sta ancora a combattere e a Salvini ha detto l’altro giorno dalla sua sedia a rotelle nella casa di Gemonio: «Non mollo») lo dimostra, mentre l’emorragia subaracnoidea che ha colpito Bersani il 5 gennaio lo mise fuori gioco per un bel po’ di tempo ma adesso il leader post-comunista è più attivo che mai ed evviva. Quanto a Berlusconi e alla sue malattie, come sempre il Cavaliere fa storia a sé: la vulnerabilità del suo corpo, che è stato tartassato da ogni tipo di acciacco tra tumori, ottoliti e micidiali punture di zanzara, s’è accompagna alla continua ricostruzione — lui la chiamava «resurrezione» — di un fisico che doveva apparire, e per certi versi lo è stato, speciale.

PARAGONI
Guai a paragonare Bucci a figure immense della storia. Ma, solo per fare tre esempi, il malatissimo Franklin Delano Roosevelt vinse svariate campagne elettorali, una guerra mondiale e la lotta contro la Grande Depressione (contro cui scatenò il New Deal) in condizioni fisiche che anche i suoi collaboratori consideravano «pietose» (è stato malato fin da giovane) e, tanto per restare in America, JFK passava a letto la metà delle sue giornate, colpito da una grave malattia alle ghiandole surrenali, all’epoca dell’installazione dei missili a Cuba. Mentre l’incipit di «M. L’uomo della Provvidenza» (secondo volume della trilogia di Scurati appena divenytata film) descrive Mussolini che, sia pure in preda ad ulcere tremende e «gonfio d’iperscrezioni acide e di gas» e mentre «sputava vomito verdognolo e striato di sangue», conquistava l’Italia. Ecco, non per forza la malattia inibisce dalle buone imprese e anche dalla cattive.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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