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«Sto bene e vincerò». Il nodo degli Stati in bilico


Sembra che Joe Biden sia uscito dalla fortezza inespugnabile in cui si era chiuso. Diversi democratici nelle settimane passate gli avevano detto: vai tra la gente, prova al partito e agli elettori che sei ancora capace di guidare il paese. Venerdì in Michigan è apparso in forma, ha detto ai suoi sostenitori che se hanno dubbi «possono toccarlo, fargli domande» e che in realtà è Trump «quello inadatto a fare il presidente». Da Detroit Biden ha ripetuto che i democratici «vinceranno ancora una volta: ho battuto Trump una volta e lo farò ancora. Correrò nel 2024 e vincerò» mentre la folla gli gridava «Joe non lasciare». Il preidente ha attaccato il suo sfidante: «È un perdente, un criminale condannato, ha violentato una donna».

Sempre nel fine settimana sono usciti i numeri degli spettatori che hanno seguito la conferenza stampa di giovedì: 23 milioni, più di quelli della cerimonia degli Oscar. Il Wall Street Journal ieri ha pubblicato un lungo articolo per cercare di fare il punto su quello che sta succedendo, sulle possibilità che abbandoni o resti, definendolo un Harry Houdini, capace di sgusciare fuori da situazioni politiche difficili.

L’OPPOSIZIONE INTERNA

Ora però sembra che la situazione sia diversa. Il partito – nonostante siano solo 20 i politici che gli hanno chiesto pubblicamente di ritirarsi – è sempre più convinto che un suo addio possa essere la vera soluzione in grado di risolvere la perdita di voti tra le minoranze afroamericane e ispaniche, tra i giovani, negli stati in bilico, in Virginia, Minnesota, New Hampshire e New Mexico, che un tempo erano blu e ora rischiano di diventare repubblicani.

La campagna elettorale di Biden ha un’altra visione: i numeri non sono poi così cambiati, gli ultimi sondaggi danno i due candidati testa a testa e poi c’è il blue wall di tre stati – Michigan, Wisconsin e Pennsylvania – che sembrano possa rimanere al presidente e che secondo molti analisti sono i tre territori dove si combatterà per la vittoria. In realtà la vittoria di questi tre stati più un distretto in Nebraska darebbe a Biden 270 voti elettorali, il minimo per essere eletto. Una strategia – sostengono i suoi detrattori – che non permette uno sbaglio, neppure minimo. Oltre al partito, Biden ha contro la stampa, da giorni: gli editoriali che chiedono al presidente di lasciare a un nuovo candidato arrivano da quotidiani illustri, progressisti, come il New York Times e il Washington Post.

A Detroit però, mentre i suoi sostenitori hanno provato a fischiare i giornalisti presenti alla manifestazione, Biden è subito intervenuto: «No, no, no. sono ottimi uomini e donne». Questo nonostante li abbia criticati per come hanno raccontato le settimane dopo il terribile dibattito con Trump. Ma se la figura di Biden continua a essere in bilico, quella di Kamala Harris è in costante ascesa.

I suoi comizi, i suoi discorsi si sono moltiplicati, e i repubblicani hanno iniziato a fare campagna elettorale contro di lei, non tanto contro il presidente. La stanno prendendo di mira definendola «la zar dell’immigrazione», accusandola di aver portato i migranti negli Stati Uniti: ovviamente gli attacchi non hanno alcun dato su cui basarsi. E infatti, il numero di migranti è al minimo storico, dopo l’ultimo pacchetto di provvedimenti approvato da Biden.

GLI ATTACCHI

Kamala invece era stata incaricata dal presidente di viaggiare nei paesi con più partenze per cercare di risolvere alla radici i disagi che portano agli spostamenti. Sempre la campagna elettorale di Trump ha detto che Harris è a conoscenza dei problemi di salute di Biden ma sta cercando di insabbiare tutto. Il suo nomignolo? «Quoziente di intelligenza basso Kamala». Ieri Kamala è andata a Philadelphia, città già visitata da Biden questa settimana, mentre Biden si è sentito con i diversi caucus del partito.

Domani invece, nonostante ci siano ancora voci su un possibile annuncio di un ritiro, Biden ha previsto un’intervista ad Austin, in Texas, che sarà trasmessa la sera alle 9 americane da Nbc. Infine ieri ancora una volta Bernie Sanders ha cercato di soccorrere Biden: in un editoriale sul New York Times ha detto che «farà tutto il possibile affinché il presidente Biden venga rieletto». Il motivo, spiega il socialista Sanders, è che «è stato il presidente più efficace nella storia moderna del nostro Paese ed è il candidato più forte per sconfiggere Donald Trump». E poi ha aggiunto che la lezione che gli Stati Uniti dovrebbero imparare arriva dalla Francia, «dalle forze progressiste e centriste francesi che, nonostante le profonde differenze politiche, si sono unite questa settimana per sconfiggere sonoramente l’estremismo di destra».

Angelo Paura

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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