Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia, parla di «onorevole compromesso». Le aziende statunitensi saranno esentate dalla global minimum tax, l’imposta al 15% sui profitti delle grandi multinazionali, pensata in sede Ocse per contrastare la concorrenza fiscale tra gli Stati. In cambio l’amministrazione guidata da Donald Trump ha chiesto al Congresso di emendare il disegno di legge finanziaria -meglio conosciuto come One, Big Beautiful Bill- e stralciare le imposte sugli investimenti esteri dai Paesi che applicano regimi fiscali considerati discriminatori verso le imprese statunitensi. L’Italia era uno di questi, perché tra i primi Paesi a trasporre nel proprio ordinamento i principi della global minimum tax, in vigore dal primo gennaio 2024, e perché applica dal 2019 una web tax sui servizi digitali finita sotto la lente del Rappresentante Usa per il commercio.
Il Fisco è uno dei diversi campi sui quali procedono le trattative per evitare l’imposizione contro i Paesi Ue di dazi al 20% sulle importazioni verso gli Stati Uniti. Il capitolo delle imposte che gravano sulle aziende Usa è infatti uno degli atti discriminatori che Trump e il suo team imputano agli alleati e sui quali hanno costruito la politica protezionistica annunciata lo scorso 2 aprile.
LE TARIFFE
L’Italia ritiene che un compromesso vada raggiunto e che si possano accettare tariffe al 10%. La premier Giorgia Meloni continua a predicare calma e gesso. Convinta che una via d’uscita si troverà entro il 9 luglio e che il sistema Italia sarà in grado di reggere la mannaia scesa da Trump, soprattutto se l’accordo siglato col tycoon recherà il numero 10. Per ora non sono previsti incontri con le categorie datoriali -come quello voluto dalla presidente del Consiglio a stretto giro dal Liberation day- ma i contatti sono continui, anche per tranquillizzare gli industriali e il mondo delle imprese e far passare il messaggio che, come ama ripetere Meloni: «il governo è dalla loro parte».
Per una nuova riunione si attende tuttavia che la trattativa sulla rotta Washington-Bruxelles entri nel vivo, così da studiare tutte le contromosse da mettere in campo per limitare i danni.
L’accordo sulla global minimum tax è una via da seguire. Non appena raggiunto il compromesso, Scott Bessent, segretario al Tesoro statunitense, si era subito mosso per sollecitare il Congresso a stralciare dalla finanziaria la cosiddetta Sezione 899.
La soluzione sulla quale è stata trovata la convergenza mira a mettere in piedi un sistema parallelo che tiene fuori le società americane da alcune parti del nuovo regime fiscale, in ragione delle tasse che già pagano negli Usa. Gli Stati Uniti, infatti, già applicano un sistema che tende a evitare che le società siano tassate in modo eccessivamente favorevole.
La possibile risposta Usa prevista dalla finanziaria in discussione al Congresso avrebbe esposto le imprese italiane negli Usa, e anche le persone fisiche a una tassazione aggiuntiva del 5%. «Fino ad arrivare ad un 20% l’anno», aveva spiegato nei giorni scorsi il viceministro all’Economia, Maurizio Leo, nel ricordare anche come a Washington si guardi «con disapprovazione» anche alla web tax, dalla quale l’Italia incassa circa 490 milioni. di euro.
L’intesa raggiunta durante il G7 «protegge le nostre imprese dalle ritorsioni automatiche», ha sottolineato Giorgetti, « Dobbiamo continuare a lavorare in questa direzione e favorire il dialogo». Un concetto ribadito in altre occasioni per spingere a trovare una soluzione alle trattative sui dazi, ponendo fine una volta per tutte a mesi di incertezza.
L’OCSE
Per il segretario generale dell’Ocse, Mathias Cormann, l’accordo è «una pietra miliare». L’associazione ricorda tuttavia con quello raggiunto in sede di G7 non è un accordo vincolante. La proposta dovrà essere affrontata e discussa da tutti i 147 Paesi che fanno parte dell’organizzazione. Secondo Cormann il compromesso«offre l’opportunità di conseguire lo scopo originale»: ossia «stabilire con un accordo multilaterale delle limitazioni alla competizione fra Paesi sulla tassazione delle imprese» e «salvaguardare la base imponibile dei governi».
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