Un segnale agli alleati. E anche a chi, dentro e fuori la maggioranza, alimenta la retorica antimilitarista, strizza l’occhio a Vladimir Putin e ai suoi amici in Europa. Giorgia Meloni varca il portone del Washington Convention Center avendo fatto i compiti a casa. Porta in dote a Joe Biden e agli alleati riuniti al summit della Nato nella capitale americana un tesoretto da quasi un miliardo di euro. A tanto ammonta — circa 750 milioni, per la precisione — l’aumento degli investimenti nella Difesa rispetto all’anno scorso che la premier garantirà ai suoi partner atlantici all’ombra della Casa Bianca. Con l’obiettivo di centrare, come promesso, il target Nato del 2 per cento del Pil speso nel comparto, entro il 2028.
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LA POSTA IN GIOCO
Il tempismo e l’incertezza che circonda il vertice a Washington ne fanno un test decisivo per la leader italiana. Che in una settimana si gioca molto. Da un lato la credibilità del governo nella famiglia atlantica e la sua coerenza nel sostegno all’Ucraina aggredita da Putin. Dall’altro la partita per la Commissione europea e i top jobs Ue che scorre sottotraccia anche oltreoceano. La sera della vigilia Meloni si ferma a parlare con i cronisti, affresca un quadro personale delle turbolenze politiche in Europa. Le elezioni in Francia, «nessuno schieramento ha vinto», dice spezzando a metà una lancia per Marine Le Pen. Poi, appunto, i negoziati per le poltrone europee: «L’Italia ha un governo molto solido in un’Ue in cui ci sono governi molto meno stabili», rincara con un sorriso beffardo. Rivolto a distanza a Emmanuel Macron, il nemico all’Eliseo assediato a destra e sinistra, tentato dal forfait al summit Nato. Infine, lo sdegno per Putin e il massacro russo a Kiev, «le immagini spaventose» dell’ospedale pediatrico bombardato che fanno a pezzi «certa propaganda russa su una soluzione ‘pacifica’ del conflitto». Di nuovo una stoccata a chi parla di pace indiscriminata con lo zar. Come i “patrioti” riuniti lunedì in un nuovo, maxigruppo euroscettico a Bruxelles. A guidarlo Salvini, Le Pen, gli spagnoli di Vox. Ecco, di fronte a questo scenario, il summit alla Nato serve alla timoniera di Palazzo Chigi per marcare le distanze. Lo fa, tra l’altro, con il nuovo tesoretto per le spese militari, ricavato dopo un lungo e certosino lavoro dei suoi ministri.
Guido Crosetto in primis, che è con lei a Washington e spiega che con la prossima Commissione europea si dovrà riaprire il tema dello scorporo degli investimenti nella Difesa dal Patto di Stabilità. Ma è stato un lavoro corale. Negli ultimi mesi a Palazzo Chigi si sono tenute più riunioni per discutere del dossier 2 per cento. Sempre presente il sottosegretario Alfredo Mantovano, Crosetto e Tajani, la direttrice dell’intelligence Elisabetta Belloni, il titolare dei conti italiani Giancarlo Giorgetti. Il risultato è un maxi-gruzzolo — quasi 800 milioni di euro — che imprimerà uno sprint alla tabella di marcia italiana. Dall’1,46 per cento all’1,53 in un anno, secondo le stime della Difesa: risorse ricavate tra le pieghe del bilancio dello Stato e grazie a un ricalcolo dei fondi ministeriali. Il governo ha chiesto all’Inps di calcolare l’esatto ammontare della spesa per le pensioni militari. Le regole Nato permettono di includere anche questa: sarebbe un altro balzo in avanti.
Ma è una mossa squisitamente politica. Meloni porta a Washington un’Italia con le carte in regola. Segnale a Biden e anche a Trump, se dovesse rientrare alla Casa Bianca da novembre. Lo è anche il nono pacchetto di aiuti militari a Kiev: dentro, insieme alla batteria Samp-T, il governo ha fatto inserire una munizione di Storm Shadow, missili a lunga gittata richiestissimi da Zelensky. Con buona pace dei mal di pancia nella Lega. Ieri mattina la premier studiava e sottolineava i discorsi americani nella stanza di hotel. Nella hall la figlia Ginevra a trotterellare insieme all’inseparabile segretaria Patrizia Scurti. Poi un break insieme in città, madre-figlia, prima del summit. È una carta, quella atlantista, che Meloni giocherà anche ai tavoli europei. A patto che Ursula von der Leyen riconosca all’Italia il ruolo di peso che rivendica nella futura Commissione. Ieri, incontrando i popolari a Bruxelles, la tedesca si è detta ottimista: «Troveremo l’accordo con Giorgia». Ma le parole contano poco, nel grande risiko delle nomine Ue.
Francesco Bechis
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