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«Via le sanzioni a Putin, Trump ha esagerato. Ue sull’Ucraina fuori dai giochi»


Picchia duro sull’Europa, «ormai è fuori dai giochi ucraini, non abbiamo voce in capitolo su nulla», e fin qui è ordinaria amministrazione. Ma per una volta ne ha anche per Donald Trump. Le sanzioni sul petrolio russo? Un errore, «è andato troppo oltre». Viktor Orban scuote la testa. «Sarò presto a Washington per discuterne con il presidente». Parla al Messaggero sull’uscio dell’hotel Minerva, a due passi dal Pantheon, la piazza scaldata da un sole autunnale. È appena tornato dalla visita in Vaticano, a tu per tu con Papa Leone XIV. Lo attende ancora Giorgia Meloni per il bilaterale a Palazzo Chigi. Appare crucciato Orban, l’uomo forte di Budapest che ancora una volta sta tenendo sulle spine l’Ue alle prese con il conflitto in Ucraina. «L’Europa è totalmente fuori dai giochi» l’affondo. «Abbiamo appaltato agli americani e ai russi la possibilità di risolvere questa guerra. Purtroppo, non abbiamo un ruolo». 

MURO CONTRO MURO

È reduce da un Consiglio europeo ad alta tensione “Viktor”. Ha creduto all’idea, ventilata dallo stesso Trump e da Putin, di un vertice fra America e Russia a Budapest, a casa sua, per chiudere tre anni di stillicidio nelle trincee ucraine. Una passerella d’eccezione. Ma il sogno, per ora, è sfumato. 
Trump si è spazientito, ne ha abbastanza delle giravolte dello “zar” russo. E ha calato il più pesante pacchetto di sanzioni a Mosca dall’inizio del conflitto. Impediscono a Cina e India, come a qualunque altro Paese terzo, di comprare il petrolio russo, senza incorrere nella mannaia del Tesoro americano. Un colpo durissimo. Di più: un errore, spiega Orban a passeggio per i vicoli di Roma. «Si è spinto troppo oltre». Spera di far cambiare idea al Tycoon, lo andrà a trovare alla Casa Bianca già la prossima settimana. Perché per l’Ungheria anzitutto quelle sanzioni sono un problema grosso come una casa. «Stiamo ragionando su come costruire un sistema sostenibile per l’economia ungherese, perché l’Ungheria dipende moltissimo dal petrolio e dal gas russo» riprende il leader magiaro. «E senza di loro, i prezzi dell’energia andranno alle stelle, provocando delle carenze nelle nostre scorte». Un guaio per le casse ungheresi. Tanto più mentre entra nell’ultimo miglio la campagna per le elezioni politiche. «Chiederemo un trattamento speciale per l’Ungheria» ammette senza girarci intorno Orban, «cercheremo una via d’uscita». Lo incalziamo sulla guerra in Ucraina, che poi è il piatto forte del vis-a-vis con Meloni nel pomeriggio. Per Orban è un invito a nozze. Coglie l’occasione per randellare l’Europa, che bolla come irrilevante, lasciata ai margini delle trattative diplomatiche per chiudere il conflitto. Lo ripete come un mantra: «Fuori dai giochi». «L’Europa è fuori dai giochi, non decide nulla sul futuro della sua sicurezza né sul futuro rapporto tra russi e ucraini». Pausa. «La verità è che su questo fronte c’è ben poco di cui discutere». A pochi metri un drappello di agenti italiani della scorta si agita, gli fa cenno di avvicinarsi. «Scusate, torno subito» ci dice l’ungherese alzando una mano. «Presidente, un selfie insieme!», chiedono gli uomini in divisa appena scesi dalle moto, il casco ancora in testa. Sorriso, click! Orban torna da noi. «Sull’Ucraina abbiamo poco da dirci». Con Meloni vuole squadernare altri dossier. O così vuol far capire. «Il punto più importante della discussione con il vostro primo ministro è il futuro dell’economia europea». 
Segue una lunga invettiva contro il Green deal, i lacci e lacciuoli europei che rallentano gli investimenti e mettono sulle barricate le destre del Vecchio Continente. Inclusa la destra italiana. Dice Orban: «Il principale problema è la perdita di competitività dell’economia europea. In particolare, la transizione green e le decisioni sul tavolo dell’Unione, la cosiddetta Ets2 (la direttiva sulle emissioni, ndr), che aumenteranno il prezzo dell’energia per chi ha una casa, per chi possiede un’auto. Insomma, per la nostra gente. E poi dobbiamo lavorare per rendere più competitive l’economia di Italia e Ungheria». Si torna sempre qui: al consenso. Quello che mantiene al potere Orban da più di vent’anni, col pugno di ferro e un governo accusato dall’Ue di violare di continuo lo stato di diritto. Serviva in questa chiave la passerella a Budapest, il faccia a faccia Putin-Trump, officiato dal premier ungherese, che ora appare un miraggio. 

LA GIRAVOLTA USA

Ancora ieri il presidente americano rifilava una dura stoccata al rivale-alleato russo, intento a testare missili da crociera a propulsione nucleare e molto meno a tessere la tela della pace. «Dovrebbe far cessare la guerra, una guerra che avrebbe dovuto durare una settimana sta per iniziare il suo quarto anno». Le sanzioni abbattute contro il business dell’oro nero russo, poi, sono una cesura. Spaventa Orban, il migliore amico di Putin in Europa, che spera di portare a miti consigli il leader Usa trasvolando l’Atlantico nei prossimi giorni.  L’ungherese ci congeda. Fa per allontanarsi, imbocca l’atrio dell’Hotel Minerva. C’è spazio per un’ultima domanda ed è tutta italiana. «Presidente cosa pensa del caso Ilaria Salis? Crede davvero che meriti il carcere?». È un nervo scoperto. Il voto dell’Europarlamento che ha blindato con l’immunità l’eurodeputata di Avs, già incarcerata nelle celle di Budapest, è stato vissuto come affronto personale da “Viktor”. Rispondendo a un’interrogazione di Carlo Calenda, il Guardasigilli Carlo Nordio ha spiegato che al momento non sono arrivate richieste da «alcuna autorità giudiziaria, italiana o estera» per «il perseguimento di Salis in Italia per i reati commessi in Ungheria». Insomma qui, a differenza che a Budapest, non tintinneranno manette. Orban ha imboccato la hall quando sente il nome Salis. Inchioda, si gira. Sul volto un sorriso beffardo. Non risponde. Poi scompare in ascensore. 
 


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