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Un universo popolato da buchi neri di nuova generazione, nati dalla fusione di altri buchi neri che a loro volta si erano già uniti in precedenza: è questa la sorprendente scoperta annunciata dalla collaborazione internazionale Ligo–Virgo–Kagra, pubblicata su The Astrophysical Journal Letters.
Come è arrivata la scoperta
Grazie all’osservazione delle onde gravitazionali, gli scienziati hanno individuato per la prima volta segnali che indicano l’esistenza di fusioni gerarchiche, un fenomeno finora solo ipotizzato.
Si tratta di buchi neri “discendenti” di precedenti collisioni cosmiche, che testimoniano un universo molto più dinamico e affollato di quanto si credesse. «Questi risultati ci mostrano che i buchi neri non vivono isolati, ma in ambienti estremamente densi e attivi» ha spiegato Gianluca Gemme, portavoce di Virgo e ricercatore dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn).
La ricerca segna un netto passo avanti rispetto al 2015, quando le onde gravitazionali furono rivelate per la prima volta. «All’inizio l’obiettivo era semplicemente vederle» ricorda Edoardo Milotti, fisico dell’Università di Trieste e associato Infn. «Oggi, invece, le utilizziamo come un nuovo paio di occhiali per osservare il cosmo. Entrambe le coppie mostrano un buco nero molto più massiccio dell’altro e in rapida rotazione, tutto lascia pensare che si siano formati da fusioni precedenti».
Secondo Carl-Johan Haster dell’Università del Nevada (Las Vegas), si tratta della prima prova diretta dell’esistenza di buchi neri di seconda generazione. Le loro caratteristiche indicano che queste fusioni si verificano in ammassi stellari estremamente affollati, dove la densità di materia aumenta la probabilità di collisioni multiple. Oltre a riscrivere la storia evolutiva dei buchi neri, le nuove osservazioni potrebbero avere implicazioni ancora più profonde. I ricercatori ritengono infatti che gli oggetti in rapida rotazione come quelli scoperti possano essere strumenti naturali per testare teorie oltre il Modello Standard, come l’esistenza dei bosoni ultraleggeri, particelle ancora ipotetiche che potrebbero spiegare alcuni misteri della materia oscura.
«È una scoperta che apre nuove strade alla fisica teorica» sottolinea Milotti. «ogni nuova osservazione ci porta un passo più vicino a capire come funziona davvero l’universo».
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