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«Sì ai Paesi terzi sicuri per rimpatri più veloci»


BRUXELLES — Un altro giro di vite per rendere la “Fortezza Europa” più impenetrabile. Per i Paesi Ue sarà più semplice respingere le domande dei richiedenti asilo senza esaminarle nel merito, bypassare i paletti dei tribunali e pure deportare le persone migranti in Stati diversi da quelli di provenienza e con cui non hanno alcun legame. La stretta passa da un emendamento piuttosto mirato proposto ieri dalla Commissione europea — senza alcun clamore né l’intervento di esponenti politici — ma che in potenza può cambiare il volto del diritto d’asilo nell’Ue e avvicinarlo al controverso modello dell’accordo Regno Unito-Rwanda, bocciato dalla Corte Suprema britannica. La strada percorsa da Bruxelles passa per la revisione del concetto giuridico di “Paese terzo sicuro”, cavillo che consente agli Stati Ue di considerare inammissibile una domanda di asilo quando i richiedenti potrebbero ricevere altrove una protezione efficace.

Così facendo, spiega l’esecutivo Ue in una nota, si vogliono «accelerare le procedure» e «ridurre la pressione» delle richieste sui sistemi nazionali 27, poiché per il commissario agli Affari interni Magnus Brunner, «proteggere queste persone è una responsabilità globale», non solo europea.

LINEA DURA

È l’ultimo tassello di una Ue che, incapace di mettersi d’accordo sulla redistribuzione al suo interno di chi arriva, s’è trovata unita sulla linea dura in materia di rimpatri e riduzione degli arrivi. Per farlo, la Commissione vuole ridefinire — ampliandola — la nozione di “Paese terzo sicuro”. La bozza normativa (tecnicamente si tratta di una modifica al regolamento sulle procedure di asilo che fa parte del Patto sulla migrazione) punta, infatti, a eliminare l’obbligatorietà del legame tra il richiedente asilo e il Paese terzo sicuro: finora si trattava, ad esempio, di giustificare il trasferimento con precedenti soggiorni nello Stato, con la presenza di alcuni familiari lì o la conoscenza della lingua.

In sostanza, non ci sarà una lista comune europea, ma si dà la libertà (e la flessibilità) ai 27 di stilare i propri elenchi. Ciascuno seguirà il diritto nazionale, e c’è chi potrebbe anche decidere in controtendenza di mantenere il principio della connessione. In secondo luogo, prosegue la nota di Bruxelles, la domanda può essere dichiarata inammissibile se si dimostra che c’è stato il transito attraverso un Paese terzo sicuro prima di raggiungere l’Ue. C’è, poi, una terza opzione, che si è già rivelata la più scivolosa: «In assenza di collegamenti o transiti», gli Stati potranno designare come “terzi sicuri” quei Paesi con cui stringeranno degli accordi affinché le domande di asilo siano presentate in quelle giurisdizioni anziché in Europa: Bruxelles dovrà esserne informata, ma non potrà bocciare le intese. Questa disposizione non si applicherà ai minori non accompagnati. I requisiti dei Paesi che si possono considerare come “terzi sicuri” rimangono invariati, chiariscono dall’esecutivo Ue: è tale chi applica gli standard internazionali, non respinge i richiedenti asilo, li protegge dalla persecuzione, non presenta rischi di danni gravi o minacce alla vita e alla libertà per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un gruppo sociale o opinioni politiche, e dà, tra le altre cose, la possibilità di ricevere permesso di soggiorno e di lavoro. La Commissione prevede, poi, che «per ridurre i ritardi e prevenire gli abusi» i ricorsi contro il rigetto della domanda d’asilo in virtù del concetto del “Paese terzo sicuro” non abbiano più un effetto sospensivo automatico, ma va richiesto (tranne che, di nuovo, nel caso dei minori). Più paletti per i giudici, insomma.

PRONTI ALLA BATTAGLIA

Prima di diventare definitiva, la stretta dovrà essere approvata dai governi riuniti nel Consiglio (un primo esame di natura tecnica è in calendario il 10 giugno) e dal Parlamento europeo, dove si prepara battaglia nell’ala sinistra della “maggioranza Ursula”. «Questa definizione è inquietante. Se approvata, potrebbe portare a espulsioni ingiuste», ha commentato l’eurodeputata eletta con il Pd Cecilia Strada, mentre le ong — da Amnesty International a Picum — suonano l’allarme: «Aspettiamoci famiglie separate e persone deportate in luoghi che non conoscono, senza un appropriato esame giudiziario».

PAESE D’ORIGINE

Il concetto di “Paese terzo sicuro” è diverso da quello di “Paese di origine sicuro”, che pure la Commissione ha riformato appena un mese fa; entrambi sono, però, strumentali all’irrigidimento della politica migratoria Ue.

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