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ora von der Leyen rischia la bocciatura. La situazione (e cosa succede ora)


Altro che finita con l’investitura dei leader; la vera campagna elettorale per Ursula von der Leyen è appena cominciata. E sarà una scalata disseminata di insidie, verso quota 361. Il numero magico, cioè, necessario per superare indenne le forche caudine dell’Europarlamento, quando — la data da cerchiare è il 18 luglio — il suo nome per un bis alla guida della Commissione sarà messo al voto della plenaria. Sulla carta, la maggioranza pro-Ue di larghe intese che l’ha sostenuta nel summit dei capi di Stato e di governo può contare su 399 seggi (188 i popolari del Ppe, 136 i socialisti dell’S&D, 75 i liberali di Renew Europe). La “fiducia” parlamentare, tuttavia, si vota a scrutinio segreto, richiede la maggiorana assoluta, e la disciplina di partito nella legislatura ai nastri di partenza non è data per acquisita. I calcoli fatti dai suoi stimano il tasso di franchi tiratori e ribelli interni che mettono in pericolo il quorum in circa il 10-15%, quindi una quarantina di voti che, nelle urne di Strasburgo, potrebbero tendere un agguato a von der Leyen e negarle la maggioranza. Alcuni lo hanno già detto chiaro e tondo, dai repubblicani francesi ai liberali irlandesi. Erano altri tempi, ma il precedente non è esattamente rincuorante: cinque anni fa, infatti, il nome della tedesca — planato a sorpresa da Berlino a Bruxelles — passò per il rotto della cuffia, lasciando a terra 100 voti e spuntandola per appena nove in più della maggioranza necessaria, grazie al soccorso esterno offerto dai conservatori polacchi del PiS e dai Cinque Stelle, entrambi al governo nazionale all’epoca, ma nel frattempo passati all’opposizione.

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LA SITUAZIONE

Per questo l’ordine di scuderia affidato da von der Leyen ai suoi è parlare con tutti: dai gruppi ai singoli eurodeputati, ad esempio quelli che oggi si trovano ancora senza un tetto all’Eurocamera e popolano il limbo dei non iscritti o dei non affiliati. Alcuni contatti sono in corso, ma la prossima settimana inizierà il pellegrinaggio vero e proprio che porterà von der Leyen a dialogare con i vari gruppi dell’emiciclo. Stavolta con un programma di governo alla mano, lo stesso a cui ha fatto riferimento Giorgia Meloni per spiegare la scelta dell’astensione su von der Leyen in attesa di conoscerne le priorità.

L’obiettivo è duplice: blindare la propria maggioranza Ppe -S&D-Renew e costruire ponti con chi potrà garantirle un atterraggio morbido in caso di defezioni. Sarà un’operazione in cui la tedesca dovrà dar prova delle sue doti di diplomatico equilibrismo, perché, visti i veti incrociati tra l’ala destra e quella sinistra dell’Aula, un passo falso potrebbe costarle caro. Aprire la coalizione ai verdi, richiesta che gli ecologisti (54 seggi) avanzano dalla notte elettorale, rischia di scoprire von der Leyen a destra, e di causare un’emorragia di voti in quelle frange del Ppe più scettiche sul Green Deal: FI è stata, ad esempio, la prima ad avvertire che in una tale ipotesi rivaluterebbe il proprio sostegno.

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L’ALTRA IPOTESI

Ancor più pesante sarebbe la batosta numerica in caso di allargamento agli 83 conservatori dell’Ecr (il gruppo di FdI, che è in preda a dissidi interni e deve ancora costituirsi formalmente): una tale mossa è considerata un punto di non ritorno per socialisti e liberali, che volterebbero le spalle al bis. Resta, insomma, uno stretto sentiero per garantirsi un cuscinetto: partire dalla maggioranza Ppe-S&D-Renew e aggiungere i voti di chi ci sta, tra le forze “governiste” dei verdi (ad esempio i 16 tedeschi) e dei conservatori (dai 24 di FdI ai 3 cechi).

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