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«L’Italia va rifondata dai settori giovanili. Spagna forte da tempo, Yamal è esploso»


L’Eldorado spagnolo del calcio lo conosce bene Amedeo Carboni, che in Spagna ci vive da parecchio e anche adesso ci va almeno ogni mese e mezzo per gli amici e gli interessi. Fa tappa fissa tra Barcellona e Valencia, poi si sposta di continuo anche perché ha una società di successo, la MolcaWorld, che ristruttura impianti sportivi, soprattutto gli stadi.

«Siamo quelli che ne abbiamo fatti di più, oltre 36, e non solo spagnoli», dice l’indimenticato terzino sinistro di Sampdoria (una Coppa delle Coppe e una Coppa Italia coi blucerchiati di Boskov e Vialli) e Roma (dal 1990 al ’97, una Coppa Italia e la fascia di capitano), oggi cinquantanovenne che fa la spola con Arezzo, dove sta seguendo gli Europei guardando le Furie Rosse fare meraviglie. Quando nel ’97 passò dalla Roma al Valencia gli si è aperto un altro mondo, passato attraverso il campo fino al 2006 (ha vinto due scudetti, una Coppa di Spagna, una Coppa Uefa, la Supercoppa europea e due finali di Champions) ritirandosi quarantunenne, per poi restare un anno da direttore sportivo.

Ora si diverte con il Chiassa Sporting Club, realtà giovanile fondata nella periferia aretina di Giovi con il fratello Guido.

Le Furie Rosse se l’aspettava così?

«Mi sembra una cosa normale, viene dai tempi di Xavi e Iniesta quando in Spagna è cambiata completamente la gestione dei settori giovanili. È una delle nazionali che gioca meglio al mondo e sta ottenendo dei grossi risultati. Va anche oltre l’allenatore del momento perché ci sono gioco, organizzazione e mentalità. De la Fuente, arrivato a fine 2022 e l’anno scorso bravo a vincere la Nations League, ha portato qualcosa di suo e si sono visti progressi con dei cambiamenti migliorativi. Tengono la palla e la fanno girare: non è solo possesso, ci sono la qualità dei passaggi e la personalità».

Lamine Yamal è un fenomeno?

«L’ho visto quando giocava negli Allievi, s’intuiva subito che era bravo. Ha sempre giocato sotto età. Non mi aspettavo un’esplosione in prima squadra e anche in nazionale diventando titolare fisso a 16 anni».

In Italia uno così può venir fuori?

«Il calcio spagnolo è strutturato, il nostro no. La struttura deve venire dai campionati giovanili. La Primavera non serve a niente, va eliminata: arrivare a 18,19 e addirittura a 20 anni in questo modo, con un campionato di categoria, è solo una perdita di tempo. Penso che sia molto più utile alzare di un anno il limite degli Allievi, togliere la Primavera, incentivare le seconde squadre e magari mandare i ragazzi in Serie C per farli giocare. Le nazionali giovanili azzurre vincono, quindi il problema emerge dopo. Per questo vanno portati subito nel calcio dei grandi. Oggi i sedicenni si allenano come i professionisti, quindi va cercato il salto di qualità facendoli giocare. Siamo troppo indietro, andiamo avanti con i prestiti e quei giovani non giocano mai».

I tanti stranieri condizionano negativamente?

«Influenza indubbiamente anche questo, chiudono gli spazi. Dalla Primavera si fatica a emergere e pochissimi vanno in prima squadra. Meglio mandarli a giocare».

Un solo centro federale in Italia contro 70 della Spagna, 24 in Germania, 16 della Francia e perfino 3 in Svizzera.

«Le ripercussioni si vedono, pure contro gli svizzeri. Dobbiamo fare una rivoluzione se vogliamo riportare l’Italia protagonista a livello europeo e mondiale. Le strutture sono fondamentali».

L’Europeo azzurro nel 2021 è stato un caso?

«L’abbiamo vinto ed è un merito, ma stavolta abbiamo visto una delle nazionali azzurre che hanno fatto stare meno davanti la tv non suscitando entusiasmi. La precedente era differente, per esempio nel carattere. In Germania abbiamo visto una squadra inerme e molto lineare in un livello complessivamente basso».

Quali responsabilità ha Spalletti?

«C’è un insieme, è stato sbagliato un po’ tutto. In generale ci sono anche le sue, così come un commissario tecnico ha i meriti quando le cose vanno bene. Il convento dei giocatori passa questo, forse cambiava poco con altre scelte perché non parliamo di Baggio e Totti. Il livello delle altre nazionali è ben diverso, noi non ci siamo mai sentiti protagonisti».

Per ricostruire la Nazionale come ripartire?

«Giocoforza dalle giovanili. Oggi siamo così, la brutta realtà è questa».

Il giocatore italiano che le piace di più?

«Barella, ha talento e potrebbe essere titolare in qualunque nazionale. Ora è uscito anche Calafiori».

Qualcosa di nostro c’è in Spagna: Ancelotti.

«La scuola italiana c’è, però si è anche adeguato molto al calcio spagnolo. Non è questo il miglior Real Madrid e va detto, però lì è soprattutto una questione di mentalità. Loro soffrono in ogni partita, ma nel momento difficili non prendono mai gol».

Pensa che la Spagna sarà campione?

«Una finale fa sempre storia a sé, chi ci arriva vuol dire che ha tutto per vincere ed è bravo. La Spagna è senza dubbio quella che gioca meglio e fin dall’inizio».

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