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la tecnologia Lidar è un telerilevamento che utilizza luce


Vedere «cose che voi umani non potreste immaginarvi…».

Scomodare la letteratura cinematografica di Blade Runner può avere la sua efficacia quando si tratta della tecnologia Lidar, che oramai sta segnando un’autentica rivoluzione nel campo della ricerca archeologica e storica. Il segreto sta tutto nelle potenzialità del laser. L’acronimo dall’inglese sta per Light Detection and Ranging o Laser Imaging Detection and Ranging. Tradotto, è il rilevamento e misurazione della distanza tramite la luce. Di fatto è uno strumento di telerilevamento, incapsulato soprattutto nei droni, ma usato anche in aerei o elicotteri, che permette di definire la distanza di un oggetto o di una superficie utilizzando un impulso laser. Ogni secondo migliaia di impulsi laser a infrarossi vengono rimbalzati sul terreno. Oramai il Lidar consente quelle che gli studiosi definiscono «le scoperte impossibili». Risorsa strategica in situazioni complesse (e selvagge), visto che consente di filtrare una fitta e densa vegetazione con un sistema ad alta risoluzione per rimuovere virtualmente foreste e piante infestanti, per intercettare le strutture di un sito antico. «La capacità di penetrazione all’interno di boschi e foreste e l’alta risoluzione del Lidar da drone sta aprendo nuove incoraggianti prospettive nel campo dell’archeologia e dello studio di paesaggi antichi», commenta Costanza Miliani, direttrice dell’Istituto di scienze del patrimonio culturale del Consiglio nazionale delle Ricerche.

TRE FOTO La stessa area ripresa con due diverse apparecchiature: a sinistra con un drone con tele RGB, al centro con Lidar. A destra, l’apparecchiatura che mostra i dati processati 

NUOVI PAESAGGI

Negli ultimi cinque anni l’archeologia ha raccolto dati sensazionali senza dover ricorrere necessariamente ad imprese di scavo. Le potenzialità dei laser pulsati in volo e gli effetti della luce riflessa sono stati in grado di mappare nuovi paesaggi, dall’America al Sudest Asiatico. Come la scoperta di un sito Maya a Caracol in Belize e l’individuazione di aree non conosciute di età Khmer nei pressi del sito monumentale di Angkor in Cambogia. Lo scorso aprile, la rivista scientifica LiveScience ha addirittura raccolto in una pubblicazione le trenta scoperte e ricostruzioni più importanti effettuate negli ultimi mesi con la tecnologia Lidar. Il bacino dell’Amazzonia è indubbiamente l’area che ha riservato più sorprese. Milioni di laser sparati da un elicottero in volo hanno rivelato prove di insediamenti sconosciuti legati ad una civiltà preispanica perduta: il misterioso popolo Casarabe, vissuto nella regione di Llanos de Mojos, una sorta di savana tropicale nel bacino amazzonico tra il 500 e il 1400 d.C. Proprio il Lidar ha potuto rivelare la vasta rete di strade rialzate, bacini idrici, canali e villaggi.

Costanza Miliani

MODELLI DIGITALI

«Il punto di forza di questa tecnologia è la capacità di penetrare all’interno di dense coperture boscose, consentendo di scoprire resti archeologici che non sarebbero visibili utilizzando le tradizionali fotografie aeree — spiega Nicola Masini del Cnr, coordinatore di molti progetti legati al Lidar — Ma non è l’unico. In contesti con minore vegetazione, è possibile ottenere modelli digitali del terreno ad elevata risoluzione, consentendo di individuare variazioni microtopografiche riferibili alla presenza di strutture interrate di interesse archeologico». Proprio il team del Cnr è riuscito a riportare alla luce la presenza di antichi, ultramillenari, attraverso sofisticati algoritmi di filtraggio della vegetazione. L’Italia fa la parte del leone. L’ultima scoperta è avvenuta in Sardegna: «Il Lidar su drone ha consentito di ritrovare, al di sotto di una densa copertura boscosa, un nuraghe ed un villaggio dell’età del Bronzo», annuncia Nicola Masini. Il sito si trova a Bruncu ‘e s’Omu nel territorio di Villa Verde, in provincia di Oristano. Qui i rilievi al laser hanno permesso di scoprire un insediamento capannicolo del periodo del Bronzo Finale (1150-900 a.C.). Poco prima, in Basilicata, l’équipe del Cnr ha identificato il villaggio medievale di Perticara, abbandonato verso la fine del ‘300 durante la cosiddetta Piccola Età Glaciale quando si registrò un abbassamento della temperatura media terrestre. La tecnologia italiana “vola” anche all’estero: «Abbiamo condotto indagini con il Lidar in Grecia nel sito di Kastri-Pandosia nell’Epiro, città antica cinta da mura in opera poligonale, vicino alla costa ionica», dice Masini. Attraverso la combinazione di diversi sensori installati sui droni, si è riusciti a ricostruire l’intero impianto urbano compresa la cinta muraria. E per gli studiosi non mancano i sentimenti. Il momento più emozionante? «Lo studio condotto con l’archeologo Ivan Ghezzi sull’osservatorio solare più antico nel continente americano, Chankillo in Perù, risalente al IV sec. a.C. Un crinale roccioso nel deserto di Casma, a nord di Lima», dice Masini. Il Lidar, insieme al georadar e all’infrarosso termico, ha consentito di individuare l’esatta posizione dei punti dell’orologio solare.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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