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Inchiesta Fanpage, la svolta della premier pensando (anche) alla Ue


Quei video Giorgia Meloni li ha rivisti decine di volte. Alcune da sola, ma spesso a palazzo Chigi con accanto Giovanni Donzelli, la sorella Arianna e il presidente di Gioventù nazionale Fabio Roscani. Più che individuare eventuali responsabilità però, per capacitarsi di quale china stesse prendendo un partito cresciuto a dismisura negli ultimi anni. Anche agli occhi dell’Europa. Sulle prime infatti ci sono pochi dubbi e comunque se ne occuperà a brevissimo il collegio di garanzia di FdI (pronto alla cacciata di almeno tre dei protagonisti e numerose sospensioni), la rotta del partito invece, non può essere delegata. A nessuno. Non più e non ora, quanto meno. La linea del «folklore» fascista a cui altre volte si è fatto ricorso e con cui sarebbe potuta essere sminata inizialmente la vicenda dopo il primo video di Fanpage, è infatti rapidamente capitolata quando le immagini hanno raccontato le offese indirizzate alla senatrice di FdI Ester Mieli. Sbeffeggiamenti che hanno passato il segno, gettando in agitazione anche quella parte della comunità ebraica che ha da tempo un rapporto molto stretto con Meloni. Lo dimostra, ad esempio, la celerità dell’intervento dello stesso Donzelli — subito dopo la messa in onda del servizio — ispirato proprio dalla premier.

LA COMMISSIONE
Un punto di non ritorno a cui accanto all’irritazione per alcune uscite di chi nel partito a volte le fa da bastian contrario (come il pressing di Fabio Rampelli, con quel «via dal partito gli estremisti» affidato ad un’intervista il giorno dopo) e al gelo piovuto dal Quirinale per le parole scandite a margine del Consiglio europeo di Bruxelles («È un metodo da regime. Da oggi è consentito? Lo chiedo al presidente della Repubblica»), hanno contribuito soprattutto le parole di Liliana Segre e la decisione della Commissione Segre al Senato di acquisire i filmati incriminati. Un messaggio “istituzionale” impossibile da ignorare che ha chiesto una risposta tanto articolata quanto accuratamente ponderata. Il lungo testo indirizzato ai dirigenti del partito (ma, al di là delle dichiarazioni di alcuni di loro, immediatamente condiviso con le agenzie) è nelle intenzioni della premier una «pietra miliare». Un’indicazione netta e tesa ad evitare che chiunque all’interno di Fratelli d’Italia possa pensare che esista una qualche forma di tolleranza per chi invoca il fascismo. Non devono esserci due livelli, quello pubblico e rispettabile, e quello privato e nostalgico. «Noi facciamo quello che diciamo e siamo quello che appariamo» scrive Meloni. E infatti ieri la premier non ha più contestato il servizio del sito in sé, come aveva fatto nei giorni scorsi, ma ammette le responsabilità dei suoi.

Una presa di coscienza che tra gli attacchi alla sinistra nasconde pure un’indicazione più ampia. Europea. L’immagine che Meloni vuole restituire fuori dall’Italia è quella di una formazione tutt’altro che estremista, lontana da certe dinamiche che finiscono con il serrare cordoni sanitari o con il lanciare allarmi sullo stato di diritto. Un partito dedicato «alla Patria» ma non sovranista. «La verità è che noi abbiamo segnato la rotta, costringendo tutte le forze politiche a definirsi, pian piano, “patriottiche”» scrive la premier rivendicando il copyright sul concetto, all’indomani della presentazione della nuova formazione europea di Viktor Orbán (Patrioti per l’Europa). Una famiglia politica a cui potrebbero aderire alcuni suoi alleati, come Matteo Salvini e i polacchi del PiS. In cui potrebbe confluire anche Marine Le Pen che, se sarà davvero chiamata a governare la Francia dopo i ballottaggi, dovrà necessariamente seguire quella rotta tracciata da Meloni. Quella di una destra conservatrice che ambisca ad essere più di «un capriccio della storia».

Figurarsi di una storia che risale a cento anni fa. Un nuovo corso che FdI ha in mente di celebrare già da domani quando si terrà all’Esquilino la festa del partito. Un evento a cui parteciperanno molti dei protagonisti più o meno diretti della vicenda (come Paolo Trancassini a Marco Perissa, che nelle immagini si salutano con il saluto gladiatorio) e che sarà aperto dall’offerta di un mazzo di rose da parte dei giovani di Gn alla senatrice Mieli. Un gesto riparatore, come l’intero evento, a cui c’è chi non esclude possa alla fine prendere parte anche Meloni. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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