Salirà a otto milioni di tonnellate all’anno di acciaio la produzione della futura Ilva: sei a Taranto e due a Genova. Tra la fine di luglio e l’inizio di agosto il governo riaprirà il bando di gara — sono attese le offerte entro ottobre — per trovare un acquirente di Acciaierie d’Italia, visto che in quello vecchio non era previsto l’obbligo di avviare i forni elettrici per la decarbonizzazione. Che tra l’altro vedrà ridurre i tempi da 13 a 8 anni. Il governo si appresta a far rientrare i fondi stanziati per la siderurgia nell’1,5 per cento di Pil che in sede Nato si è chiesto ai partner di spendere per la difesa.
Ieri a Roma il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha incontrato i sindacati per discutere dell’ex Ilva. A loro ha presentato il nuovo piano industriale di Acciaierie d’Italia. E ha annunciato i nuovi tempi della gara, «così da dare la possibilità di partecipare anche ad altri acquirenti». Invece ha solo sfiorato il tema più a cuore alle sigle: quello occupazionale. Ha spiegato che non si può dare un quadro sugli «se prima non viene chiarito se si faranno o meno Dri (a Taranto, ndr)». In ogni caso promette «strumenti straordinari. Nessuno deve rimanere indietro».
In un loro studio i metalmeccanici della Uil hanno stimato in 4mila i potenziali esuberi, considerando il preridotto prodotto non a Taranto e le minori lavorazioni richieste dai forni elettrici. Il suo leader, Rocco Palombella, ha detto che ogni ipotesi deve contemplare «la piena salvaguardia occupazionale».
Oggi Urso vedrà gli enti locali pugliesi, con i quali deve concordare i termini della nuova Aia (Autorizzazione integrata ambientale). Al centro della discussione c’è ancora il via libera alla nave rigassificatrice nel porto di Taranto, senza la quale non ci sarà gas sufficiente per tenere nel centro ionico anche i forni per il preridotto. «E senza l’Aia — ha aggiunto il ministro — si va verso «la chiusura». Toni accesi durante il vertice di ieri, quando ha sottolineato che nella Costituzione «non si parla di nazionalizzazione».
LA PIATTAFORMA
Nel piano industriale presentato, invece, ai sindacati si legge che si deve «garantire una produzione fino a 8 milioni di tonnellate annue di acciaio» per mantenere «la continuità operativa di tutti i siti produttivi del gruppo Acciaierie d’Italia, tutelare i livelli occupazionali e rispondere alle esigenze del mercato nazionale ed europeo». Per raggiungere questi livelli ci saranno tre forni elettrici a Taranto e uno a Genova. Sia per realizzare l’acciaio flessibile chiesto da settori come l’auto, la cantieristica e la difesa sia, soprattutto, in ottica della decarbonizzazione, sono previsti anche «la realizzazione di impianti di preriduzione (Dri)»: tre sempre a Taranto e uno a Genova.
Guardando al cronoprogramma, i commissari sono sicuri di riportare la produzione di acciaio ai sei milioni di tonnellate di acciaio entro il marzo del 2026 con il revamping dei tre attuali altiforni. Poi partirà la transizione verso gli impianti elettrici: il primo forno sarà operativo e i primi due impianti per il Dri saranno operativi nel 2029, per completare questo processo tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024. Serviranno poi tre anni per realizzazione gli impianti di cattura della CO2 necessari al funzionamento della preriduzione. Senza le attività di preridotto, la transizione necessiterà di un anno in meno: 7 e non otto, anche se costruire da zero questi siti lontano da Taranto comporterà tempi non meno lunghi. Nel pacchetto è poi inserita la «realizzazione di nuova centrale elettrica a maggior rendimento».
Per quanto riguarda il sito di Genova, si legge sempre nel piano, è «prevista la costruzione e l’avvio del nuovo forno elettrico entro la fine del 2029» per produrre 2 milioni di tonnellate di acciaio, da affiancare da un impianto per il Dri. Di conseguenza, fa sapere il governo, «grazie al Piano di Decarbonizzazione sviluppato per il gruppo, Acciaierie d’Italia sarà in grado di offrire sul mercato 8 milioni di tonnellate annue di acciaio verde interamente prodotto in Italia, rispondendo concretamente alla domanda di clienti nazionali ed europei».
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