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Dazi, Meloni sente Trump. Dal governo appello a Parigi: «Torniamo fratelli»


Si sono sentiti nelle ultime ore. Giorgia Meloni prova a mediare con Donald Trump mentre la tempesta dei dazi incombe sull’Europa. Una telefonata a ridosso del week end è servita a riattivare il canale tra la presidente del Consiglio e il leader della Casa Bianca. Che nelle stesse ore ha fatto trillare la cornetta di una serie di leader europei, da Macron a Starmer.

LA TELEFONATA

Corrono veloci le lancette a Palazzo Chigi dove si trattiene il fiato per la trattativa last-minute fra le due sponde dell’Atlantico. Il 1 agosto scattano i controdazi della Commissione europea: una scure da 21 miliardi di euro sull’export a stelle e strisce. Ma non è escluso che la scadenza slitti ancora di qualche giorno: nella riunione del Coreper, il comitato degli ambasciatori Ue convocato domenica d’urgenza, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha fatto capire che si prenderà tutto il tempo possibile per venire a patti con “Donald”.

Meloni intanto torna a tessere la trama diplomatica. Sente il presidente americano e tiene aperto h24 il canale con la tedesca a capo dell’esecutivo europeo. Perfino con l’Eliseo i contatti sono continui, sebbene le idee sulla postura da tenere con Trump siano lontane. Unità imposta dai tempi che corrono, spiega il ministro della Difesa Guido Crosetto dal palco dell’ambasciata francese a Palazzo Farnese, per la festa del 14 luglio. «Siamo cugini, a volte lo siamo stati di più e a volte di meno — dice il co-fondatore di Fratelli d’Italia rivolto al padrone di casa, l’ambasciatore francese Martin Briens — ora dobbiamo essere fratelli, stare fianco a fianco, saldare le fila, in questo momento i valori in cui abbiamo creduto e crediamo sono messi in discussione». Pausa. «Difenderli significa mettere da parte qualsiasi competizione, è il momento di collaborare».

Il pallino dei negoziati sulla guera commerciale però è a Bruxelles. Spetta ora alla Commissione negoziare e smussare la minaccia di Trump, quei dazi al 30 per cento che terrorizzano le imprese europee. A Roma non tutti la pensano così. Si fa avanti la Lega che con Claudio Borghi lancia la suggestione: «Avviare trattative bilaterali e provare così a mettersi in salvo». A tu per tu con Trump, con tanti saluti ai partner europei. Mentre il leader del Carroccio Matteo Salvini torna a scagliarsi contro l’Ue, perché se le imposte americane «sono sciagurate, la burocrazia e i vincoli di Bruxelles lo sono altrettanto».

Trattare da soli, saltando i canali europei, non è però considerata un’opzione da Meloni. È l’Europa, mette a verbale il fedelissimo Carlo Fidanza, capodelegazione al Parlamento Ue, che «deve continuare a trattare con la schiena dritta, con la forza delle sue ragioni». E anche da Forza Italia arriva un sonoro stop alle tentazioni isolazioniste che solleticano il partito di via Bellerio: «La competenza sul commercio internazionale è europea. Punto. Fine della discussione» replica duro alla Lega il portavoce nazionale Raffaele Nevi. Serrare i ranghi con l’Europa, mentre la bufera commerciale infuria tra Washington e Bruxelles, è la via indicata già nei giorni scorsi dal Quirinale. Non è un mistero che il Capo dello Stato Sergio Mattarella consideri dannosa per il Paese qualsiasi fuga in solitaria, così come le minacce tariffarie del presidente americano. Intanto le opposizioni attaccano. «La strategia arrendevole di Meloni nei confronti di Trump si è rivelata del tutto fallimentare» l’affondo della segretaria del Pd Elly Schlein al Tg3. Che invita la premier «a venire in Parlamento e chiarire al Paese cosa intende fare per sostenere il negoziato europeo».

TRATTARE A OLTRANZA

Per ora però la premier non ha in agenda alcun passaggio in aula e il mantra a Palazzo Chigi è il seguente: «La competenza dei negoziati è della Commissione, perché dovremmo parlare noi adesso?». Trattare, a oltranza, è la linea. Oggi, a poche ore dalla telefonata Meloni-Trump, il ministro degli Esteri Antonio Tajani atterrerà a Washington. In agenda un incontro con il segretario al Commercio Usa Howard Lutnick e l’omologo Marco Rubio. A Roma tracciano scenari a matita. Sperano che alla fine Trump accetti un dazio “base” del 10 per cento, con possibili rialzi su beni come acciaio e alluminio, in cambio di concessioni dell’Ue su “barriere non tariffarie” e l’accesso al mercato unico. Eccesso di ottimismo? Il tempo dirà.

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