«Tra Bucci e Orlando vinca il migliore. O perda il peggiore, dipende dai punti di vista…». Alla fine è stato il veto ligure del M5s a far abbandonare la contesa a Matteo Renzi: «È rottura, siamo fuori dalla campagna elettorale». Il leader di Italia Viva lo certifica arrivando all’assemblea di partito a Roma, la prima dopo la fine del Terzo Polo. È amareggiato ma anche battagliero, ribadisce l’appartenenza al centrosinistra ma entra a gamba tesa sul M5S, colpevole d’aver voluto dare le carte in Liguria dribblando pure il Pd. Si dice tuttavia disponibile a dialogare in futuro, «ma non a far decidere Conte», e pronto ad allestire un centrosinistra alternativo alla Meloni, «ma non col cappello in mano».
SCAMBI DI ACCUSE
Chiara la risposta al leader M5s, che poche ore prima aveva manifestato la sua amarezza per l’apertura dei dem ai renziani. «C’è un problema col Pd — l’avvertimento di Conte — Schlein, senza tra l’altro prendersi la briga di avere un confronto con me e gli altri alleati, ha di fatto restituito centralità politica a Renzi, che è un fattore divisivo e ha sempre voluto distruggere il M5s. Così il campo giusto si sfalda e si indebolisce».
Una bella rasoiata per Renzi, già segnato dalla ferita ligure dove a Italia Viva — denuncia l’ex premier toscano — «è stato impedito» di candidarsi: «Ci hanno detto “non state con Bucci, fate una lista, togliete il simbolo”. Ci sta che in una regione accada, ma Conte ha detto pure “scegliamo noi i vostri candidati”. Il nostro segnale di disponibilità è stato quindi equivocato, sono per il centrosinistra ma non accetto veti». E giù gli attacchi al leader M5s: «Per Conte sarà difficile da capire ma per noi è questione di dignità, che vale più di una poltrona. Per lui invece la poltrona vale più di tutto».
E ancora: «Io, Meloni, Tajani, Fratoianni, Magi e Schlein abbiamo affisso i manifesti, fatto la gavetta. Lui no. In un momento particolare l’hanno tirato fuori dal cilindro e si è ritrovato a palazzo Chigi. Ora pensa che quella sia la sua residenza e mi odia perché io l’ho tolto da lì. Ma io sono orgoglioso di averlo mandato a casa per Draghi, non me ne pentirò mai». Ora l’obiettivo di Conte «è mettere in discussione la leadership di Schlein, perché sa che lei può fare la premier e lui no. È un ragionamento contorto. Per me il leader del primo partito fa il premier».
La ferita va però rimarginata il prima possibile perché c’è un contesto «che impone di scegliere da che parte stare», la fine del Terzo Polo «lo ha detto oggettivamente». E per Renzi, che sposa il centrosinistra, ora il tema «non è se aderisci o no al campo largo, ma se stai coi valori di riferimento del centrosinistra o del centrodestra. Fra Trump e Harris noi abbiamo le idee chiare». Bisogna quindi superare le divisioni interne, «che sono il principale sponsor di Giorgia Meloni. L’opposizione parlamentare è fatta di sfascisti». Per questo giura di volersi sedere al tavolo aperto dalla Schlein per un centrosinistra vincente: «In Liguria non è stato possibile, vedremo se lo sarà alle politiche. Di sicuro ci saremo con una lista di centrosinistra, dobbiamo capire se soli o da alleati».
Conte però è categorico: «Con Renzi posso giocarci a calcio ma non posso governarci, lui realizza la contaminazione affari-politica».
IL GOVERNO
Le ultime frecciate Renzi le rivolge alla Meloni, «premier col 26%, Salvini che doveva governare trent’anni aveva il 34%. Parla di consenso granitico, in realtà fa l’influencer. Negli Usa è andata a caccia di like e photo opportunity con Elon Musk. Ha raccolto l’eredità della Ferragni, non di De Gasperi, e presto arriverà il pandoro anche per lei». Perché, scommette, «tra due anni, e non tre, si tornerà alle urne».
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