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Borse, venerdì nero. Spettro recessione per l’economia Usa. Da Parigi a Milano (-2,5%) ondata di vendite sui listini


Le piazze borsistiche del mondo hanno chiuso ieri sera un Venerdì nero. C’è lo spettro della recessione in Usa a spaventare i mercati.

In Europa Francoforte è scivolato dell’1,66%, Londra dello 0,83%, Parigi dello 0,86%. Anche peggio Milano, dove l’indice Ftse Mib ha ceduto il 2,55%, ai minimi da febbraio, con risultato di aver bruciato 40 miliardi in due giorni a causa delle indiscrezioni, smentite, di una tassa come contribuzione di solidarietà che avrebbe drenato 500 milioni agli istituti: nulla di vero, se ne riparla a settembre su basi diverse.

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Le chiusure

In calo i tre gli indici di Wall Street, con il Nasdaq che vicino alla chiusura marciava con una perdita del 2,86%, S&P 2,40%, Dow Jones 2,22. Va tenuto presente che l’S&P 500 è sceso del 4% in soli due giorni, mentre il Nasdaq, è sceso del 5% e – a detta di vari analisti — starebbe flirtando con il territorio della correzione. L’ondata di gelo e la paura di una recessione che si sono abbattute sui listini di borsa sono legate essenzialmente a due dati americani: il quarto rialzo consecutivo mensile del tasso di disoccupazione e la cattiva performance di alcuni giganti tecnologici. Fermo restando che un tasso di disoccupazione al 4,3 non è ancora su livelli gravi, quello che preoccupa gli investitori è il lento e costante aumento del dato, aggiunto al fatto che le richieste di sussidi di disoccupazione sono salite vicino ai massimi di un anno fa. A questa marcia si sono aggiunti ieri anche i dati deludenti di Amazon e Intel, che in parte si sono estesi ad altri titoli tecnologici. Amazon ha notificato di non aver rispettato le previsioni di vendita per il secondo trimestre e ha fornito indicazioni poco incoraggianti per il terzo trimestre, col risultato di scivolare del 12%. Intel, invece, ha annunciato l’intenzione di tagliare 15.000 dipendenti. Le sue azioni sono crollate del 30%, il più grande calo in un solo giorno almeno dal 1982. Altre megacap hanno sofferto, anche se meno clamorosamente, come Nvidia, Microsoft e Alphabet, mentre Apple è andata al rialzo grazie ai migliori risultati delle vendite dell’iPhone.

Fra tutti i dati tuttavia, quello che ha più colpito gli investitori è quello sulla disoccupazione. E un sospetto è ricominciato a circolare fra gli economisti e gli investitori: forse la Fed ancora una volta sta reagendo troppo lentamente, e se nel 2022 permise l’allargarsi dell’inflazione, ora espone il Paese a una recessione. Per la seconda volta dal marzo del 2022, sembra che i governatori della Banca federale non afferrino l’urgenza di un intervento sui tassi di interesse. Adesso che l’inflazione è scesa al 2,9%, ma in compenso abbiamo visto un tasso di disoccupazione andare dal 3,7 di marzo al 4,3 di questo inizio di agosto, il FOMC ha appena concluso la sua riunione estiva senza applicare nessun ritocco al ribasso sui tassi, rimandando tutto a settembre. Il presidente della Fed Jerome Powell aveva chiuso i lavori, mercoledì, parlando della fiducia sui progressi nel controllo dell’inflazione.

UTILITY E ALIMENTARI OK

In Europa i principali indici archiviano una settimana con performance decisamente negative rappresentando, in molti casi, la terza ottava consecutiva in ribasso. Il venerdì nero di Milano, comunque, è lontano dalle altre sedute negative, come quella record del 12 marzo 2020 (- 17%). I titoli bancari penalizzati, come si diceva. Bper in calo del 4,59%, Mps del 4,7% ed Intesa Sanpaolo del 4,41%. Tra i peggiori degli altri comparti, ST (-5,77%) ma anche Stellantis (-3,3%), mentre Snam (+2,43%) è stata una delle poche ad essersi mossa in controtendenza come i comparti difensivi (utility e alimentare). Sulle oscillazioni anomale la Consob ha acceso un faro.

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