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«Abbiamo già dato, ma sì al dialogo»


Le spinte della politica a coinvolgere anche le banche nella manovra di bilancio 2026 atterrano sul tavolo dell’Abi. I banchieri, pur ribadendo di «aver già dato», dovrebbero comunque, essere disponibili a un confronto per senso istituzionale e sociale. Domani a Milano è in calendario il comitato esecutivo, il primo dopo la ripresa estiva. In apertura ci sarà l’intervento di Piero Cipollone, membro dell’esecutivo Bce, trasmesso anche in streaming: si dovrebbe soffermare su Eurodigitale e semplificazioni. A seguire, il presidente Antonio Patuelli e il dg Marco Elio Rottigni dovrebbero fare le relazioni di prammatica accennando alle ipotesi ventilate dalla politica già da tre settimane di chiedere nuovamente alle banche un contributo per l’economia reale. L’esito dovrebbe essere un mandato ristretto a Rottigni di sedersi al tavolo quando ci sarà la convocazione salvo tornare nel gotha per una decisione.

«Pacta sunt servanda non è solo un brocardo latino che esprime un principio del diritto internazionale», spiega un banchiere di rappresentatività, «ma lo scorso anno è stato raggiunto un accordo di contribuzione da parte del sistema per 4,5 miliardi valido per il 2025 e il 2026, non possiamo rimettere tutto in discussione». Un altro banchiere ricorda che nel negoziato dello scorso anno, era stato raggiunto un accordo solo per il 2025 sui crediti di imposta (Dta) e che, su successiva richiesta del governo, si acconsentì di estenderlo anche al 2026. La norma sul differimento delle Dta ha generato complessivamente nel biennio un maggior gettito di 3,4 miliardi. A questo valore si deve aggiungere, per il solo 2025, che il maggior reddito prodotto dal rinvio dell’utilizzo delle Dta può essere compensato da perdite pregresse e da eccedenze Ace (aiuto alla crescita economica) nel limite massimo del 56% invece dell’ordinario 80%, generando un ulteriore recupero di gettito di 1,1 miliardi. In questo modo si arriva a maggiori entrate complessive 2025 -2026, lato banche, di 4,5 miliardi.

LE GARANZIE

Questa posizione è condivisa da tutto il fronte dei banchieri che addebita queste fughe in avanti della politica alla campagna elettorale per le regionali.

Nella sostanza c’è un muro rispetto alle richieste di nuovi prelievi, ma sul piano della tattica negoziale, i banchieri sono disponibili a partecipare al confronto che si aprirà senza chiusure né prevenzioni.

L’altro giorno il titolare del Mef ha comunque rimesso ordine: «l’introduzione di misure sulle banche fa parte delle valutazioni politiche che saranno fatte soltanto quando il quadro di priorità sarà definito, due settimane». Giancarlo Giorgetti ha cercato un equilibrio fra la Lega che spinge per nuove tasse e Forza Italia che è contraria. Il ministro ieri ha smentito («l’apprendo solo adesso») l’indiscrezione di Bloomberg secondo cui il Mef lavora a un’altra sospensione delle Dta per il 2027 di 3 miliardi (in realtà ne restano 1-1,2 miliardi).

D’altro canto i banchieri non capiscono da che parte si voglia andare. Fanno sapere che finora la politica ha accennato a nuovi interventi sulle Dta che sono i crediti di imposta il cui utilizzo è stato già rinviato. Poi è spuntato un prelievo sull’acquisto di azioni proprie (buy back) da parte delle società attraverso tre opzioni: il ritocco della tassazione sulle plusvalenze a carico degli azionisti (l’aliquota salirebbe dal 26 al 30%); un’imposta di registro commisurata all’operazione di riacquisto; infine nuova tassazione sulle plusvalenze maturate dalle società emittenti. La terza delle ipotesi avanzate dalla politica per mezzo stampa riguardano le garanzie. In più i banchieri ricordano che le indiscrezioni sule nuove tasse a carico delle banche sono costate alcuni miliardi di tosatura del valore delle azioni in borsa: il 28 agosto il Ftse bank ha bruciato il 5% di capitalizzazione.


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