Non sarà un processo veloce e Stati Uniti e Cina non usciranno con una soluzione definitiva dai due giorni di incontri iniziati ieri a Londra. Gli analisti sono certi che nonostante i negoziati siano l’inizio di un processo positivo, i due Paesi hanno davanti a sé decine di temi da risolvere prima di arrivare a un accordo ed evitare la guerra commerciale iniziata da Donald Trump tra aprile e maggio, quando aveva imposto dazi del 145% sulla Cina, decidendo poco dopo di sospenderli per evitare un collasso dell’economia americana.
Ieri a Londra i due blocchi guidati dal segretario al Tesoro Scott Bessent e dal vice premier cinese He Lifeng hanno discusso principalmente delle terre rare e di alcuni minerali sui quali la Cina ha deciso di rallentare le esportazioni ma che sono fondamentali per l’industria tecnologica e militare americana, in particolare per la costruzione dei jet.
«Sarà un incontro breve, vogliamo che ci sia una stretta di mano e che si impegnino a far ripartire il volume di esportazione di terre rare, a quel punto possiamo tornare al tavolo dei negoziati», ha detto ieri il direttore del National Economic Council, Kevin Hassett. Lo scambio prevede che la Cina ritorni a vendere le terre rare senza alcuna restrizione e gli Stati Uniti diano di nuovo a Pechino l’accesso ai microchip prodotti da aziende americane, essenziali per l’industria del Paese. I timori erano iniziati alla fine di maggio quando i dati avevano mostrato una diminuzione del 35% delle esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti, il ribasso più importante dal febbraio 2020, quando il mondo aveva chiuso gli scambi commerciali all’inizio della pandemia.
L’incontro di ieri è arrivato in seguito alla telefonata della settimana scorsa tra Trump e il presidente cinese Xi Jinping, nel quale i due leader si sono impegnati a evitare una guerra commerciale, lasciando spazio alla possibilità di arrivare a un accordo. E ora, dopo due mesi di scontri e vendette, Washington e Pechino si trovano in un momento di tregua, dopo che a metà maggio a Ginevra si sono accordate per mettere in pausa i dazi per 90 giorni e così aprire il dialogo. Ma dal giorno dell’accordo si sono accusate a vicenda di averlo violato: Trump ha incolpato la Cina di rallentare l’approvazione di nuove vendite di minerali critici: «La cattiva notizia è che la Cina, tra l’altro senza sorprendere alcune persone, ha completamente violato il suo accordo con noi», aveva scritto Trump causando nuove tensioni. Pechino ha invece attaccato la Casa Bianca per le restrizioni sui visti per gli studenti cinesi e per quelle sulle esportazioni di microchip.
In un’intervista a Cnbc Rebecca Harding, Ceo del Centre for Economic Security, ha detto che: «quello che sta succedendo non è solo uno scontro sul commercio. Si tratta di uno scontro sulla gestione delle loro economie. Questo è solo l’inizio ed è una battaglia per il ventunesimo secolo». Ma altri analisti fanno notare che sul breve termine quello che veramente interessa a Trump è riuscire ad avere lo stesso flusso di minerali dalla Cina e la presenza del segretario al Commercio Howard Lutnick sarebbe un segnale molto chiaro in questa direzione: Lutnick infatti ha avuto dal presidente la delega sulle restrizioni all’invio di prodotti tecnologici alla Cina.
Reuters inoltre sostiene che l’industria automobilistica sia «nel panico» proprio a causa della decisione di Pechino di restringere le esportazioni dei suoi minerali. La Cina controlla il 90% delle terre rare e dei magneti mondiali: secondo il dipartimento dell’Energia statunitense, sono essenziali per la sicurezza nazionale, per l’indipendenza energetica e per la crescita economica. Intanto ieri Wall Street ha condotto una seduta in leggero rialzo, in attesa di dettagli più chiari sull’incontro, ma di sicuro spinta dalla possibilità che la crisi delle terre rare cinesi possa essere risolta.
LA RISPOSTA DELLE BORSE
Il mercato americano guarda anche a due importanti appuntamenti: ci sarà la pubblicazione dei dati sui prezzi al consumo ma soprattutto di quelli sull’inflazione che potrebbero mandare nuovi segnali alla Federal Reserve per un possibile taglio dei tassi dopo sei mesi di pausa. Dopo i crolli del mese scorso, da due settimane Wall Street ha recuperato terreno, con lo S&P 500 che venerdì scorso ha superato i 6.000 punti per la prima volta dal 21 febbraio e in questo momento si trova distante solo del 3% dal record storico. Al contrario i mercati europei hanno chiuso in rosso in attesa di notizie più chiare sui negoziati tra Cina e Stati Uniti.
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