08.06.2025
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Yara Gambirasio e Sharon Verzeni, l’avvocato di Massimo Bossetti nega la richiesta di comparare il Dna di Moussa Sangare


L’ipotesi è che ci sia un serial killer che in tredici anni abbia ucciso più volte. Una lunga scia di sangue a partire dall’omicidio di Yara Gambirasio nel 2011 fino ad arrivare a Sharon Verzeni, uccisa questa estate. O forse, semplicemente si tenta di riaprire un caso giudiziario utilizzando l’arma del dna per dimostrare che potrebbe essere un’arma spuntata se non si seguono determinati passaggi.

Secondo il settimanale Giallo Claudio Salvagni, l’avvocato difensore di Massimo Bossetti, l’uomo condannato all’ergastolo per l’omicidio della piccola Yara e che si dichiara innocente, avrebbe chiesto in sostanza alla procura di verificare l’ipotesi che l’assassino di Sharon, Moussa Sangare, possa aver ucciso anche Yara.

La congettura sembra assurda: Sangare avrebbe agito da appena diciottenne. E lo stesso avvocato in serata ha negato di aver fatto questa richiesta: «Ogni approfondimento è sempre positivo ma non ho chiesto nessun esame sul DNA che non sia quello di Ignoto1»

Sharon Verzeni e Yara Gambirasio

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Yara venne uccisa con parecchie coltellate. Dice ancora Salvagni: «Sul corpo della ragazzina ci sono due dna rimasti ignoti e 9 formazioni pilifere che non appartengono a Bossetti. Chiediamo solo di cercare la verità».

Sangare che ha 31 anni dovrebbe aver compiuto l’omicidio tredici anni fa, quando ne aveva 18. Il fulcro del ragionamento dell’avvocato gira attorno al dna: il punto è che il legale di Bossetti si batte e contesta una mossa della pm Letizia Ruggeri che indagò sul caso Yara e che scelse di spostare 54 campioni di dna provocandone la distruzione. I campioni repertati sul corpo della vittima passarono da meno 80 gradi a temperatura ambiente. Con lo scongelamento sono andati distrutti. 

La pm è stata indagata per frode processuale e depistaggio, in seguito è stata chiesta l’archiviazione dell’inchiesta. La difesa di Bossetti nel 2019 aveva ottenuto l’autorizzazione del giudice ad analizzare i campioni, ma cinque giorni dopo, il 2 dicembre, i reperti, compreso il dna di “ignoto 1”, sono stati portati all’ufficio corpi di reato come richiesto dalla pm Ruggeri. Dove, di fatto, sono andati distrutti perché i reperti sono diventati inutili per nuove indagini.

Salvagni contesta che il dna di «ignoto 1» trovato negli indumenti intimi di Yara sia quello di Bossetti poiché si tratta del solo dna nucleare e non di quello mitocondriale, che è un elemento altrettanto importante del patrimonio genetico di un individuo. Nella serie tv Netflix che ha riacceso l’interesse sul caso c’è l’intervista a un importante personaggio: Peter Gill, padre della genetica forense che insegna all’università di Oslo, secondo cui «oltre al dna nucleare di Massimo Bossetti e al dna mitocondriale di Yara c’era per forza il mitocondriale di una terza persona». Ecco perché l’avvocato Salvagni si batte per comparare il dna con quello di altri assassini o presunti tali. 

Per la Cassazione, «il dna mitocondriale c’è, ma non si vede. Una questione cruciale è stata liquidata così. Allora la mia domanda è: come mai si vedono quello di Yara e, sotto traccia, quello di una terza persona? E perché, invece, il dna mitocondriale di Bossetti gioca a nascondino? Se il mitocondriale, che potrebbe essere preso come la prova del nove, non torna, è evidente che l’individuazione fatta con il nucleare è sbagliata», ha siegato a Il Dubbio il legale.  «Nella bergamasca esiste indubbiamente una sorta di microcosmo in cui tutti più o meno alla lontana sono imparentati, per cui l’esistenza di dna molto simili non è così eccezionale. Probabilmente la verità è che quel dna è di una persona comunque vicina al dna di Bossetti, ma non è lui, perché basta cambiare un allele e cambia persona. La certezza con cui si afferma che sul corpo di Yara c’era il nucleare di Bossetti è ascientifica», ha ribadito Salvagni.

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La difesa, ora, punta ad analizzare i reperti che sono ancora esistenti, ovvero gli indumenti di Yara, quelli dai quali è stato estratto il dna di ignoto 1, per verificare se ci sono altre tracce analizzabili e che magari restituiscano un risultato simile, ma non identico. Ecco perché si chiede di comparare i dna trovati sui corpi di due vittime di omicidio: la tredicenne Yara e Sharon Verzeni, la donna uccisa questa estate a Terno d’Isola e per cui c’è una persona in carcere: Sangare, che ha confessato e che è stato immortalato da una telecamera a Chignolo d’Isola, proprio dove c’è il campo in cui è stato ritrovato il cadavere di Yara Gambirasio. Congetture e ipotesi che prendono di mira la regolarità di quella che è sempre stata considerata la prova regina: il dna. 

All’avvocato risponde su Giallo la criminologa Roberta Bruzzone: «L’assassino della piccola Yara è già in prigione. L’ipotesi dell’avvocato è semplicemente fantasiosa». 

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