26.06.2025
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Politics

«Voto delle Camere per partecipare»


IL RETROSCENA

Ore di attesa a Palazzo Chigi. Il governo italiano è affacciato sulla polveriera mediorientale. Aspetta un cenno da Donald Trump, il presidente americano che potrebbe a breve muovere i suoi bombardieri sui siti nucleari iraniani. Se varcherà il Rubicone lo farà nelle prossime ore. Giorni al massimo, stando alle stime della nostra intelligence.

COSA FA L’ITALIA?

Ed ecco un dubbio serpeggiare: cosa farà l’Italia quando Trump dichiarerà guerra agli ayatollah? Nulla, spiega al Messaggero il ministro ai Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani, prima che «le Camere si esprimano con un voto». Mentre percorre i corridoi del Senato il veterano friulano di Fratelli d’Italia pianta paletti chiarissimi sull’eventuale sostegno italiano a un’operazione militare americana in Medio Oriente. «Non è pensabile decidere nulla se non si passa prima da un voto del Parlamento».

Un altro ministro, preferendo l’anonimato, rincara: «Un governo non può decidere se abbattere droni per conto terzi o inviare aerei in aiuto senza un passaggio parlamentare». Segue battuta caustica: «D’Alema è riuscito a farlo ma lui era di sinistra…». Calma e gesso dunque. È la linea che compatta tutto l’esecutivo su su fino alla premier Giorgia Meloni che ieri pomeriggio è rientrata a Roma dopo la missione canadese del G7 e si è messa subito al lavoro da casa: un round di telefonate con leader mediorientali per sondare le chance di una de-escalation. Scarse, al momento. Netanyahu andrà fino in fondo con i raid su Teheran. E anche Trump, è la convinzione che monta, farà lo stesso. Ai piani alti del governo si preparano ad ogni scenario.

Viene messa in conto in queste ore anche la richiesta americana di un sostegno logistico da parte italiana. Ad esempio l’utilizzo di una delle basi a stelle e strisce disseminate lungo lo Stivale — da Aviano a Vicenza — per fare rifornimento. O magari la base in Kuwait dove sono schierati gli eurofighter.

Ad oggi non è arrivata alcuna segnalazione sull’asse Roma-Washington e chi ha dimestichezza con la sicurezza nazionale ritiene improbabile un ruolo italiano di sostegno all’eventuale blitz di Trump. «Gli Usa hanno basi in Bahrein, in Arabia Saudita, nel Pacifico dove rifornire caccia e bombardieri — spiega una fonte qualificata — semmai potrebbe intensificarsi lo sforzo delle navi italiane per fermare gli attacchi degli Houthi nel Mediterraneo e potrebbe esserci un riposizionamento delle forze Nato, se gli americani spostassero alcuni dei loro asset». Si ragiona ancora al condizionale.

Tutto tace e il silenzio è assordante per i leader europei incerti sul da farsi. In Canada, fra le foreste dell’Alberta, Meloni ha provato a giocare le sue carte diplomatiche. Convinta che si sia aperta una finestra per spingere Netanyahu a un cessate-il-fuoco a Gaza, ora che la Striscia è diventata un fronte “secondario”. Ma con Trump i margini per trattare sulla guerra all’Iran sono pressocché inesistenti. Dà lui le carte.

L’Italia attende e si prepara a fare la sua parte, a patto però che il Parlamento dia prima il via libera. Domani Meloni vedrà von der Leyen, sul tavolo il menù ufficiale prevede il Piano Mattei e la firma di imponenti accordi con i partner africani. Crosetto invece, ha anticipato il Foglio, servirà un pranzo a base “Nato” al ministero con un gruppo di parlamentari bipartisan. Lega presente — torna a far rumore in queste ore la proposta di una riserva di diecimila soldati lanciata dal leghista Minardo — daranno forfait Cinque Stelle e Avs, ci sarà il Pd. Dove tuttavia sia le spese Nato che la questione iraniana sono un boccone indigesto, «infatti nessuno dice qualcosa di sensato» sbuffa un big del partito di Elly Schlein.

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