Di ciliegie, “decime”, scrutatori assenti e altri misfatti. Il romanzo della prima giornata elettorale per Europee ed Amministrative (si è votato dalle ore 15 alle 23, e oggi sarà possibile farlo dalle 7 alle 23 anche in circa 3mila Comuni), è un affresco abbastanza pittoresco. Prima che nella notte arrivasse il primo dato ufficiale dell’affluenza (alle urne per le Europee è andato il 14,6% degli aventi diritto, alle Regionali in Piemonte il 17,5%), l’intera Penisola è tornata a fare i conti con le solite problematiche che affliggono ogni elezione: pochi votanti, pochi scrutatori e troppi messaggi da parte dei politici. E anche una sorpresa: Umberto Bossi non ha votato Lega. «Voterà Reguzzoni perché la Lega è stata tradita», ha fatto sapere l’ex segretario della Lega Lombarda Paolo Grimoldi, che ha parlato al telefono con il Senatur, ricevendo l’indicazione sull’esponente del Comitato Nord oggi candidato indipendente nelle liste di Forza Italia per la circoscrizione Nord-Ovest.
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Il silenzio elettorale
Sulla violazione del silenzio elettorale, o quantomeno sul suo aggiramento, molti dei leader hanno dato il meglio di sé tra chi è tornato dal fruttivendolo, chi ha pubblicato l’album di famiglia e chi, senza troppe remore, ha chiesto platealmente il voto. Al punto che è dovuta intervenire l’Agcom per ricordare come la disciplina pre-elezioni (per quanto non del tutto esplicita) valga anche per i contenuti pubblicati sui social e per chiarire che in ogni caso la competenza in caso di violazioni «è del ministero dell’Interno». Il più esplicito è stato Matteo Salvini, che prima ha twittato «Per più Italia e meno Europa, scegli la Lega» e poi, ingaggiando un lungo colloquio con i giornalisti davanti al seggio di via Martinetti a Milano. «Chiedo con forza un voto per fermare la guerra e isolare bombaroli pericolosi come Macron» ha detto, subito dopo aver confermato di aver messo «una decima bella forte» per esprimere la sua preferenza. Peraltro qualcosa di molto simile a quanto fatto dal suo candidato Roberto Vannacci.
Meno diretta Giorgia Meloni che, un attimo prima che scattasse lo stop alla campagna, ha invece giocato la carta dell’ironia rispolverando un suo grande classico elettorale: il video-messaggio dal fruttivendolo. «Oh Daniè, nun di’ gniente che siamo in campagna elettorale», dice la premier in romanesco prima di assaggiare una ciliegia. «Buonissime, che varietà è?», chiede poi a Daniele che, sul banco dove sono in bella vista anche dei meloni, gira un cartellino con la scritta «varietà Giorgia». Una gag social a cui nel pomeriggio di ieri, accanto ad una foto dal seggio di via Bechelet, ha fatto seguito un più istituzionale «Il futuro dell’Italia e dell’Europa lo decidete voi. Ora è tutto nelle vostre mani».
Un esempio seguito anche da Matteo Renzi, che però ha approfittato del messaggio per fare pubblicamente gli auguri alla figlia neo-diciottenne. Elly Schlein invece, si è contenuta con un più sobrio appello a recarsi ai seggi. Dove, in quello di Bologna che l’ha ospitata nel primo pomeriggio, è peraltro incappata in un mini-incidente chissà quanto profetico: al momento del voto le si è infatti spezzata la punta della matita. Ma ad esporsi sono stati decine di altri candidati ed esponenti dipartito. Tra loro anche il leader di Azione Carlo Calenda, che al pari di molti altri genitori di neo-maggiorenni, ha denunciato la mancata ricezione a casa della tessera elettorale.
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I seggi
Capitolo a parte merita lo psicodramma vissuto in molte città italiane ieri mattina. A poche ore dall’apertura delle urne, non si trovavano scrutatori e, in alcuni casi, c’era carenza di presidenti di seggio. Per risolvere la situazione e assicurare l’apertura dei seggi — infine garantita in tutta Italia — ogni comune si è arrangiato come ha potuto, tra appelli social, passaparola e reclutamenti di persone di buona volontà in strada. Disagi anche a Roma, con l’allarme lanciato dall’ex ministra della Difesa pentastellata Elisabetta Trenta: «Sono presidente in un seggio a San Lorenzo, a Roma. Mancano scrutatori (residenti a Roma) per costituire due seggi. Se interessati scrivete nei commenti. Grazie!».
Ma le defezioni hanno messo in crisi soprattutto Palermo (circa 1500 su 2400 quelli che non si sono presentati) e Napoli (sostituito un presidente su 4), coinvolgendo pure Milano, Torino e Cagliari, dove alcune urne sono state aperte in ritardo. Dietro le tantissime rinunce ci sono soprattutto gli scarsi compensi. Nonostante l’incremento del 15% stabilito dall’esecutivo, la retribuzione a forfait (e non giornaliera) è pari a 138 euro per i presidenti di seggio e 110 per scrutatori e segretari. Vale a dire, poco meno di 4 euro all’ora.
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