22.08.2025
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Politics

Vertice Ucraina, Meloni: «Forti perché uniti». E il tycoon la promuove: «Governerai a lungo»


Il sospiro di sollievo c’è. Se resta sospeso è perché il vero banco di prova è ancora all’orizzonte: il trilaterale della verità fra Putin, Trump e Zelensky. Al termine diuna giornata sull’ottovolante a Washington Giorgia Meloni traccia comunque un bilancio chiaroscurale della missione americana.

I PRIMI BILANCI

I chiari: la spedizione dei sette leader europei alla Casa Bianca ha sortito i suoi effetti. Una scorta umana che ha fatto scudo al presidente ucraino. Niente sceneggiate, brutali show televisivi nello Studio Ovale, trappole come quella in cui è “inciampato” il presidente con la mimetica — ieri riconvertito a un completo nero pece — lo scorso febbraio. Gli scuri: la palla ora è nel campo di Putin e fra i leader europei, la premier in testa, è forte il sospetto che il presidente russo voglia prendere altro tempo. Strappare sul campo chilometri di territori occupati prima del gong finale. Seduta al fianco di Trump al tavolo ellittico della East Room, Meloni riconosce al padrone di casa, nonostante tutto, di aver impresso una svolta nelle trattative. «Dopo tre anni in cui non abbiamo visto alcun segno da parte della Russia in direzione di un dialogo, qualcosa sta cambiando grazie a te». Trump sorride. Ha appena introdotto la presidente del Consiglio italiana con un coro di lodi di fronte a Zelensky e ai sei leader europei seduti intorno, separati da bouquet di fiori turchese. «Una grande leader, di ispirazione per tanti — esordisce il Tycoon — e nonostante la giovane età governa da molto, altri non durano come lei, governerai a lungo». Meloni allarga il sorriso, rotea gli occhi al cielo per scaramanzia. Poi dice la sua. Se una finestra per la pace si è aperta si deve agli sforzi americani, spiega, ma anche «allo stallo sul campo di battaglia ottenuto grazie al coraggio degli ucraini e alla nostra unità». Insiste più volte sul punto, in una giornata da cardiopalma che l’ha vista prendere parte a un vortice di riunioni con gli alleati accorsi a Washington, prima all’ambasciata ucraina, poi nelle lunghe attese fra un incontro e l’altro alla Casa Bianca. «Dobbiamo ricordare che se vogliamo raggiungere la pace e garantire la giustizia dobbiamo farlo uniti» annota nella East Room Meloni. «Oggi è un ottimo giorno, puoi contare sull’Italia fin dall’inizio, sosteniamo i tuoi sforzi per la pace». dice rivolta al padrone di casa.

IL PATTO DI SICUREZZA

Torna infine a puntare i riflettori su un dossier su cui l’Italia li ha accesi per prima nei mesi scorsi: le garanzie di sicurezza all’Ucraina. «Sono fondamentali per essere certi che non accadrà di nuovo». Immagina «un modello come l’articolo 5 della Nato» (mima gli apici con le mani), ovvero un patto sulla scia della difesa collettiva che lega l’Alleanza atlantica. Sottoscritto da Europa e Stati Uniti, insieme, per scoraggiare nuovi colpi di mano di Putin. «Questa proposta era italiana all’inizio» rivendica Meloni al tavolo quasi a sottolineare il copyright di un’idea che inizialmente ha raccolto lo scetticismo di alcuni alleati europei — a partire dal francese Macron — e ora è ufficialmente sul tavolo dei negoziati. Con il placet di Trump e — almeno così sperano a Palazzo Chigi — con un possibile nulla osta russo. È su questo punto che si concentra la moral suasion italiana nel vertice a porte chiuse, proseguito con Trump, Zelensky e gli alleati europei nello Studio Ovale, prima di ripartire.

LE CONDIZIONI

Si ragiona su un patto di mutua assistenza fra Europa, Stati Uniti e Ucraina. Con clausole che prevedano un intervento militare in caso di aggressione ma con “geometrie variabili”, spiegano fonti diplomatiche, ovvero lasciando margine agli Stati contraenti per valutare forma, tempi ed entità dell’intervento. Per evitare di offrire all’Ucraina una membership di fatto nella Nato che ad oggi non trova nessuno d’accordo. Italia inclusa. «Chiaramente non ci sono soluzioni facili quando si tratta di fermare la guerra e costruire la pace» riconosceva ieri Meloni a Washington, in un breve confronto con la stampa all’hotel St Regis, «dobbiamo esplorare tutte le soluzioni possibili».


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