A marzo scorso finì con Giorgia Meloni che in maniche di camicia giocava a calcio balilla con i militari italiani della missione Unifil. Difficile immaginare che la premier possa tornare a stretto giro a Shama per ridere e scherzare, meno — molto meno — lo è che possa invece replicare l’altra porzione della visita e sedersi davanti al primo ministro libanese Najib Mikati, nel palazzo presidenziale de le Grand Serail di Beirut. Come anticipato dal Messaggero, da qualche giorno Meloni sta ragionando sull’idea di una missione lampo in Medio Oriente. Un viaggio che, se tutte le congiunzioni astrali relative alla difficilissima sicurezza dovessero allinearsi, la porterebbe pure ad Amman, da Re Abdallah II, subito dopo il Consiglio europeo di giovedì e venerdì.
IL MESSAGGIO
Ad un passo dal confine di guerra sfondato dall’Idf ed indossando i galloni della presidenza del G7, Meloni ha in mente di lanciare un messaggio neanche troppo simbolico a Bibi Netanyahu: l’Italia non abbandonerà la missione sotto l’egida Onu né è disposta ad arretrare il proprio raggio d’azione modificando i limiti della zona demilitarizzata. Concetti su cui batterà anche oggi quando, davanti a Camera e Senato per le abituali dichiarazioni che precedono la partecipazione al vertice di Bruxelles, Meloni tornerà a ribadire pure l’inaccettabilità degli attacchi subiti dai nostri militari da parte delle forze armate israeliane e l’assoluta necessità che la loro sicurezza sia garantita. I toni, garantiscono fonti vicine alla presidente del Consiglio, saranno duri come lo sono stati nel corso della telefonata con Netanyahu di pochi giorni fa.
Se la logistica dovesse consentirlo, l’Italia vorrebbe provare ad imporre l’apertura di una finestra di dialogo ancora più ampia. Tra palazzo Chigi e la Farnesina si lavora infatti ad uno sdoppio della missione. Proprio nelle ore in cui Meloni potrebbe muoversi tra Beirut e Amman, il ministro degli Esteri Antonio Tajani potrebbe portare al Cairo e soprattutto a Tel Aviv la convinzione che solo attraverso la piena applicazione della risoluzione 1701 si possa contribuire alla stabilizzazione del confine israelo-libanese.
L’intera missione è ancora in forse, ma tra i diplomatici italiani è forte la convinzione che sia arrivato il momento di muoversi con decisione. Se le conclusioni del Consiglio europeo difficilmente saranno incisive a causa delle (molte) distanze che separano i Ventisette — ad esempio sul possibile embargo alle forniture d’armi, ventilato da Emmanuel Macron e Pedro Sanchez — Meloni prova quindi a mettersi in “proprio”. La premier ad esempio lavora da tempo ad un’iniziativa per rafforzare le forze armate libanesi.
Nuovi equipaggiamenti e formazione specifica attorno a cui il ministro della Difesa Guido Crosetto conta di condensare il consenso dei suoi colleghi che — proprio a partire da venerdì — riunirà a Napoli per il G7 della Difesa, dando a Meloni la possibilità di annunciarne il successo da Beirut. Una tela ampia che, spiegano fonti diplomatiche, dovrebbe ampliarsi ulteriormente nella speranza di bloccare l’escalation. Ai contatti frequenti con il Qatar e con gli altri paesi del Golfo (con cui peraltro la premier si incontrerà domani a Bruxelles per il vertice tra l’Ue e le potenze regionali a cui farà da grand visir anche Luigi Di Maio), Meloni ha in mente di far seguire un altro viaggio nell’area. Per fine novembre e inizio dicembre sul tavolo è tornata quella missione in Arabia Saudita che è saltata tra le polemiche alcuni mesi fa.
L’INTELLIGENCE
Diplomazie in movimento. E non sono solo politici e feluche a prendere l’iniziativa. Ieri è arrivato a Roma il capo della Cia William Burns, scortato dall’ambasciatore Usa Jack Markell. Colloquio e foto a Palazzo Chigi con l’Autorità delegata alla Sicurezza Alfredo Mantovano, poi faccia a faccia con i vertici dell’intelligence, a partire dalla direttrice del Dis Elisabetta Belloni.
Sul tavolo «il punto sui principali fronti di crisi internazionali». Ovviamente anche il Medio Oriente e la guerra tra Iran e Israele che — è la lettura degli apparati americani — andrà fino in fondo: Bibi intende portare avanti lo strike contro i siti di arricchimento dell’uranio degli ayatollah. Si parla anche di Libia, Sahel, della guerra in Ucraina e di un ruolo italiano nella fase negoziale che si aprirà, ne sono convinti a Washington, con il nuovo anno. Una Pratica di Mare 2.0? Presto per dirlo ma Roma è considerata come possibile arena per le trattative post cessate-il-fuoco.
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