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La picchiata infinita di Medvedev, da bestia nera a vittima di Sinner


Daniil Medvedev è in una crisi profonda e forse irreversibile, almeno come campione. E sinceramente ci dispiace sia umanamente che sportivamente, perché il percorso che ha fatto il due metri russo con braccia e gambe lunghe e affusolate, da piovra, è stato affascinante, ma è colpa sua se ha scatenato l’ira del primo italiano numero 1 del mondo, Jannik Sinner, diventandone la grande vittima.

QUEGLI SBADIGLI…

Lo scacchista di Mosca, forgiato sulla Costa Azzurra dal “master mind” Gilles Cervara, aveva stoppato il Grande Slam di Novak Djokovic gettandolo nella finale degli US Open 2021, irrompendo nel club dei campioni Majors e quindi collezionando 20 titoli ATP, salendo al numero 1 del mondo ed affermandosi come convincente top 10, sfortunato protagonista di tre finali agli Australian Open. Ma, al Masters 2021, da campione uscente, irritò l’orgoglioso pubblico di Torino e l’orgogliosissimo Sinner, trollandoli con un atteggiamento annoiato, fino al punto di rifilargli un annichilente 6-0 nel primo set e da sbadigliare in faccia al ventenne che era subentrato da riserva all’infortunato Matteo Berrettini in una partita inutile per il torneo, ma importantissima per il Profeta dai capelli rossi. Che reagì, si buttò coraggiosamente avanti, strappò il tie-break al diabolico Daniil e lo impegnò, costringendolo a cancellargli due match point. Per poi arrendersi solo dopo due ore e mezza e solo per 10-8 al tie-break all’esperienza e alla genialità del russo che sparò un salvifico ace di seconda a 205 all’ora.

SOUVENIR WIMBLEDON

Che cosa sussurrò poi il numero 2 del mondo al numero 11? Per certo, continuò a sorprenderlo e a batterlo, lo fece per sei volte di fila, da Marsiglia 2020 alle finali di Rotterdam e di Miami 2023. Finché, il 4 ottobre, sotto il traguardo di Pechino, Jannik sfatò il tabù con due tie-break e da lì in poi, passando per la rimonta da due set sotto nella finale degli Australian Open dell’anno scorso, ha piazzato a sua volta un annichilente 5-0 a Daniil. Dominandolo sul suo terreno preferito, da fondocampo, e sul duro, corrodendo tutte le sue certezze e rubandogli un po’ l’anima. Ci ha perso — una tantum — in modo sanguinoso, nei quarti di Wimbledon di 12 mesi fa, dopo una notte insonne, al culmine della diatriba doping. Ma negli ultimi tre confronti è tornato ad imporre la sua legge lasciando un solo set all’ex bestia nera. Da cui ha imparato molto sul tema della varietà e delle soluzioni da trovare in corsa.

 Daniil, a digiuno di titoli ATP da Roma 2023, da gennaio ha perso dal 121 del mondo, Tien, dal 92, Bellucci, dal 96, Medjedovic, dal 56, Munar, dall’81, Norrie, dall’87, Opelka, dal 45, Bublik, dal 64, Bonzi, dal 59, Moutet e, all’esordio a Cincinnati, dall’85, Adam Walton, che non aveva mai battuto un top 50. Regalando un paio di immagini sconvolte di sé, nel caldo-umido, che fotografano anche l’implosione nel suo io. Dopo che, a Toronto, dopo il ko con Popyrin, ha lasciato il campo dimenticando le racchette, con tutti ancora a ridere per il “15” che aveva regalato lisciando clamorosamente un rovescio e vanificando una sua riflessione: «Da qui a Miami dell’anno prossimo è cemento, la parte più emozionante della stagione, cercherò di dare il massimo e di divertirmi. Ma il tennis è molto difficile: potrei trovare 10 motivi del mio momento no e non saprei quale sia il principale». Gli US Open sono alle porte, ma dei 26 match vinti quest’anno, solo uno, a Melbourne, è targato Slam e, da 19° nella Race per Torino, rischia di mancare i migliori 8 delle ATP Finals dopo sei anni di fila. E molto, molto di più. Ad appena 29 anni.


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