Negli ultimi dieci mesi i mercati e i partner commerciali degli Stati Uniti si sono abituati ai repentini cambiamenti di direzione di Donald Trump, da molti visti come un’arma per dare al presidente la possibilità di arrivare al suo obiettivo. Ora, non dovrebbe stupire la decisione presa dalla Casa Bianca di ridurre le tariffe sulla carne, sul caffè, sul tè, sulla frutta tropicale, sui pomodori e su altre verdure per combattere il rialzo dei prezzi al consumo. «Abbiamo solo alleggerito un po’ i dazi su alcuni alimenti, tipo il caffè», ha detto Trump a bordo dell’Air Force One, in volo verso Mar-a-Lago, poche ore dopo l’annuncio. La Casa Bianca ha detto che molte delle tariffe non sono più necessarie visto che nel frattempo sono stati firmati degli accordi commerciali: l’annuncio arriva infatti dopo che l’amministrazione Trump ha raggiunto intese preliminari con Ecuador, Guatemala, El Salvador e Argentina. Gli accordi sono pensati per ampliare le opportunità delle aziende americane di esportare beni industriali e agricoli in quei mercati, e che potrebbero anche tradursi in un alleggerimento delle tariffe su prodotti agricoli provenienti da quei Paesi: dovrebbero inoltre facilitare l’accesso delle imprese statunitensi ai mercati di quegli Stati.
LE NEGOZIAZIONI
Già nei mesi scorsi Trump aveva ritoccato i numeri dei suoi dazi nel corso delle negoziazioni con i Paesi colpiti. Il secondo mandato di Trump si fonda su un piano tariffario aggressivo: dazi elevati sulle merci importate per spingere la produzione interna e rilanciare l’economia statunitense. Pare che questa volta la marcia indietro arrivi dopo che, alle elezioni locali di novembre, molti elettori hanno indicato l’economia come la principale preoccupazione, premiando i democratici in Stati chiave come Virginia e New Jersey. Proprio i democratici e alcuni analisti sostengono che a questo punto la scelta di venerdì di Trump sarebbe quasi obbligata: i prezzi di alcuni dei prodotti colpiti dalle tariffe si stanno alzando e i consumatori americani, abituati da decenni a merce a costi ridotti, starebbero diventando sempre più insofferenti, soprattutto nelle aree in cui l’anno prossimo si giocheranno le elezioni di Midterm.
Sempre dall’Air Force One Trump ha ammesso «che in certi casi potrebbe essere così», ovvero che i dazi abbiano contribuito ad alzare i prezzi. Ha poi aggiunto: «Ma in gran parte il costo lo hanno sostenuto altri Paesi». L’inflazione, nonostante manchino i rapporti di settembre e ottobre per via dello shutdown, resta sopra l’obiettivo del 2% della Federal Reserve, con buone possibilità attorno al 3%. I democratici, in crisi dopo la sconfitta alle elezioni presidenziali e in cerca di un nuovo leader, stanno definendo il cambio di direzione di Trump sulle tariffe come la tacita ammissione dei danni provocati dalle politiche tariffarie trumpiane alle tasche degli americani.
I MILIARDI
Al contrario, l’amministrazione continua a sostenere che le tariffe abbiano portato miliardi di dollari nelle casse federali. Il provvedimento firmato venerdì rimuove le tariffe anche su altri alimenti e prodotti importati: dai succhi di frutta alle spezie, dal tè alle banane e alle arance, fino ad alcuni fertilizzanti essenziali per la produzione. La Food Industry Association — che riunisce distributori, produttori e imprese collegate al settore — ha accolto con favore la decisione di Trump di allentare rapidamente i dazi, definendola un passo positivo. Secondo l’organizzazione, le tasse sulle importazioni negli Stati Uniti rappresentano «un fattore rilevante» all’interno di un intreccio complesso di criticità lungo la catena di approvvigionamento.
Un altro elemento di tensione è la carne, alimento tra i più consumati negli Stati Uniti. Già altre volte Trump ha detto di voler affrontare il problema nel tentativo di diminuire i costi che sono in parte legati ai dazi sulla carne proveniente dal Brasile, uno dei principali esportatori mondiali.
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