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Venezia, sindaco indagato e un assessore agli arresti. «Dicono che chiedi soldi»


Un palazzo comunale del Sedicesimo secolo venduto con uno sconto sostanzioso di 4 milioni all’imprenditore di Singapore Chiat Kwong Ching. E questo trattamento di favore avrebbe dovuto facilitare la cessione, poi non concretizzata, di un’area all’imbocco del ponte translagunare di Mestre di proprietà del sindaco Luigi Brugnaro, che nel 2006 la acquistò per 5 milioni dallo Stato partecipando a un’asta del Demanio quando non era ancora primo cittadino. A dieci anni dalla maxi indagine sul Mose che azzerò un’intera classe dirigente, un’inchiesta con diciotto indagati e nove arresti travolge i vertici politici e amministrativi di Venezia.

L’ALLARME

Brugnaro è indagato per concorso in corruzione, stessa accusa per il suo capo di gabinetto Morris Ceron e il vice Derek Donadini. Arrestato l’assessore alla Mobilità del Comune Renato Boraso, finito in cella anche perché, si ipotizza con l’aiuto della sua segreteria, «stava cercando di eliminare la documentazione che poteva essere usata contro di lui», afferma il capo della Procura Bruno Cherchi. L’attività corruttiva contestata a Boraso, da dieci anni amministratore in città, era «continuativa e perdurante anche nel 2024, benché l’assessore sia stato messo in allarme». C’è un’intercettazione telefonica del 17 marzo del 2023 che il gip nell’ordinanza definisce di «fondamentale importanza, poiché il sindaco fa presente a Boraso: “Tu non mi ascolti, tu non capisci un c…o, mi stanno domandando che tu chiedi soldi, tu non ti rendi conto, rischi troppo. Se io ti dico di stare attento, ti devi controllare». Replica l’assessore: «Cambio anche telefono». E il sindaco si infervora: «Ma non è il telefono. Ti hanno messo gli occhi addosso, stai attento a ‘ste robe qua». Sono undici gli episodi di corruzione, concussione e autoriciclaggio contestati all’assessore dal 2015 a oggi.

Quanto a Brugnaro, sottolinea Cherchi, l’avviso di garanzia è «a sua tutela, stiamo valutando la correttezza della gestione del blind trust del sindaco, forse poteva anche non essere necessario, ma per trasparenza dell’attività giudiziaria abbiamo ritenuto che dovesse essere messo a conoscenza». Stando alle accuse, Brugnaro, Ceron e Donadini «concordavano con Ching», l’imprenditore che puntava a rilevare l’area dei Pili di proprietà del primo cittadino, «il versamento di 150 milioni di euro in cambio della promessa di far approvare il raddoppio dell’indice di edificabilità sui terreni in questione e l’adozione di tutte le varianti urbanistiche che si sarebbero rese necessarie per l’approvazione del progetto edilizio a uso anche commerciale e residenziale della volumetria di 348 mila metri quadri che sarebbe stato approntato e presentato da una società di Ching». Della questione Brugnaro parla con Boraso in una telefonata captata: «Ascoltami. Ho guardato un poco di lottizzazioni, non ci sono gli accessi sulle strade, le ho prese in mano, adesso le sblocco il prima possibile. Ho dato in mano tutto a Luca, tu cerca di non intrometterti. Lascia che la veda lui».

CONSULENZA

Tra luglio e agosto 2016 gli indagati «richiedevano e concordavano con Ching la maggior somma di 70 milioni di euro come sovrapprezzo», scrive il gip, denaro che «remunerava la promessa di adozione dei provvedimenti edilizi e urbanistici che avrebbero consentito un intervento anche residenziale e commerciale e avrebbero grandemente elevato il valore dell’area». La cui proprietà è di “Porta di Venezia”, che fa capo a Brugnaro, ma come tutte le altre aziende e partecipazioni del sindaco (da Umana alla Reyer basket) dal 2017 è confluita in un blind trust di diritto newyorkese al quale il sindaco ha trasferito la gestione del suo patrimonio e ora è oggetto di indagine della Procura. «Sono esterrefatto. In cuor mio e in coscienza so di aver sempre svolto e di continuare a svolgere l’incarico di sindaco come un servizio alla comunità, gratuitamente, anteponendo sempre gli interessi pubblici», il commento di Brugnaro. Che sui Pili precisa: «Quella è un’area già edificabile da prima della mia amministrazione». Tuttavia, sostengono i magistrati, Brugnaro, Ceron e Donadini, in un incontro a Venezia, concordavano con Ching la vendita dell’immobile comunale Palazzo Papadopoli al prezzo di 10,7 milioni di euro, inferiore al valore di 14 milioni, «e ciò al fine di facilitare le trattative per la cessione del terreni dei Pili». In cambio del sostanzioso ribasso, è l’accusa, Boraso avrebbe ottenuto 73.200 euro sotto forma di consulenza (mai realmente svolta) alla società Stella Consulting, di proprietà dello stesso assessore e della moglie.

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