Giorgia Meloni si sente forte, come s’è visto nel comizio a Genova, ma allo stesso tempo è preoccupata, o «profondamente scorata» secondo alcuni dei suoi, per il clima a dir poco agitato dentro il partito dove tutti parlano e straparlano (il caso Giuli è solo quello più eclatante) e a lei non va bene questa situazione. Ed è anche male impressionata la premier perché, a livello parlamentare, non si sta riuscendo a sbloccare i dossier sulla Rai e sulla Consulta, mentre la manovra economica (forse perché se n’è occupata direttamente lei) è andata bene, nella speranza che nelle Camere non accadano guai.
Meloni: Vinta scommessa Governo, sinistra si è svegliata tutta sudata
Questo insieme di situazioni, ragionano ai vertici di via della Scrofa, ha bisogno di una soluzione rapida. O meglio di un tappo. Di un silenziatore. Di un rimedio di pronto impiego. La Liguria, ossia la vittoria in Liguria, rappresenta per Meloni e per i suoi la panacea per i mali in corso. Puntare sul risultato pieno in questa tornata regionale — magari propiziatoria del possibile successo nel voto in Umbria, mentre imporsi in Emilia Romagna a fine novembre sarà complicato sia pure contando sul buon andamento della campagna elettorale della candidata civica del centrodestra Elena Ugolini — per dimostrare che, nonostante tutto, la destra vince nel Paese. Questa è la strategia meloniana. Che si basa, come dicono nelle stanze del governo, su una convinzione assoluta: quella secondo cui le polemiche mediatiche, le chiacchiere, i gossip, gli scontri nel Palazzo televisivo, parlamentare, giornalistico, restano chiusi nella loro autoreferenzialità politichese, sfiorano poco l’attenzione generale dei cittadini votanti e i comportamenti elettorali alla fine saranno per niente influenzati dalla cortina fumogena della rissosità romanocentrica.
RIPARTENZA
La Liguria come terra promessa. E come chance di ripartenza. Nella speranza — incrociare le dita — che in altri contesti ministeriali non si creino situazioni imbarazzanti come quelle che stanno travolgendo il dicastero della Cultura. Per il quale, proprio nel partito della premier, ci si auspica che torni al più presto a concentrarsi non tanto su questioni intellettuali (le discussioni a vanvera sull’egemonia della destra nella cultura stanno stancando perfino quelli di destra, e basta con Tolkien o Mishima e avanti sull’esempio di Spadolini e Ronchey concentrati sull’economia dei beni culturali come giacimento di ricchezza italiana da incentivare senza inutili perdite di tempo di tipo ideologico) ma su investimenti materiali: più impegno nel far funzionare le soprintendenze, più scavi, più mostre di storia e di archeologia, più importanza ai temi sostanziosi e meno agli svolazzi.
E comunque, la Liguria per Meloni deve valere come l’opposto del Truman Show. Ossia come uno squarcio di realtà reale e non virtuale, in cui i cittadini votano per quella che ritengono la scelta migliore, per la soluzione più adatta al territorio, per un candidato — «Il nostro Bucci sa fare le cose», parola di Giorgia — capace di sintonizzarsi sulla lunghezza d’onda della politica come buona amministrazione e che perciò possa raccogliere trasversalmente il voto di tutti. Meloni vorrebbe occuparsi del governare e non delle beghe modello Giuli-Spano, e dalla Liguria — tramite il successo della coalizione e di FdI, che sia a livello nazionale sia a livello locale tiene bene secondo i sondaggi — cerca di trarre nuova energia e altra legittimazione a fare «ciò che stiamo facendo e che stiamo facendo bene». E un po’ la Lega viene considerata un elemento che aiuta a fare, sperabilmente, il bottino pieno alla coalizione e un po’, per FdI ma ancora di più per Forza Italia, è una spina nel fianco perché Salvini in questa campagna elettorale è stato presentissimo, alle politiche del 2022 in Liguria il suo partito aveva sfiorato il 10 per cento lasciando indietro di tre punti gli azzurri e ora, nonostante il sorpasso dei berlusconiani sul Carroccio alle Europee, vorrebbe recuperare. «L’importante è che vinciamo tutti e tre», è la linea della premier a proposito dei partiti della maggioranza. E c’è pure il quarto, che è Noi Moderati di Maurizio Lupi.
GENOVA PER NOI
Tra la soap della “pompeiana”, il caso Spano-Giuli, la ridda di chiacchiere e veleni sia interna sia esterna a FdI, la studiatissima strategia di Report per mettere in difficoltà il governo durante il voto ligure, la paura di logorarsi Meloni ce l’ha. E non la nasconde parlando con i suoi: «Mi sto sacrificando su tutto, faccio una vita impossibile, e mi tocca vedere a volte, da parte nostra, poca serietà e scarso senso di responsabilità. Ma ci rendiamo conto che dobbiamo fare la storia e non alimentare la cronachetta?». Ecco, serve il salto di qualità. E una smentita clamorosa a chi parla di logoramento. La Liguria serve a questo. E se Giorgia amasse Paolo Conte — a cui preferisce naturalmente Lucio Battisti ma anche Francesco Guccini — canterebbe: «Genova per noi».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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