Elemento numero uno: l’incontro, a palazzo Chigi, avrebbero preferito farlo più in là. «Sarebbero bastate 24 ore» spiegano, quanto sufficiente per diradare appena la nebbia che ieri avviluppava la Casa Bianca.
Numero due: a prescindere dai risultati americani è soprattutto nell’interesse europeo ed italiano che la Nato resti schierata al fianco di Kiev, perché «la lotta dell’Ucraina è di tutti noi».
Numero tre: ad un Mark Rutte in tour per l’Europa all’esordio da Segretario Generale dell’Alleanza, Giorgia Meloni ha garantito che le spese militari nostrane saliranno in rapporto al Pil. Non abbastanza per raggiungere l’agognato tetto a cui l’ex primo ministro olandese ha fatto riferimento nelle sue dichiarazioni finali («Tutti dobbiamo raggiungere il 2% di spese per la difesa») o a cui Donald Trump vorrebbe costringere l’intero mondo occidentale d’imperio, ma quanto basta in forma «tendenziale» per dimostrare che Roma l’impegno ce lo sta mettendo, nonostante il freno a mano tirato da Bruxelles sullo scorporo delle spese per la difesa. Vuoi perché le stime di calo del Prodotto interno lordo allargano gli spazi di manovra, vuoi perché i conflitti in corso hanno gioco forza spinto l’industria bellica, si stima che l’1,49% attuale sia destinato ad essere ritoccato al rialzo per un valore complessivo di circa uno o due miliardi. «Lo zero virgola» che però, spiegano fonti autorevoli ai vertici dell’esecutivo, «si concretizzerà non appena sarà messo a terra l’impatto della Legge di Bilancio».
A brevissimo quindi, in tempo per dare i giusti segnali al di là dell’Atlantico. Sponda per cui, intanto, Meloni sembra confezionare già un messaggio: «Noi siamo leader nella Nato per la qualità» ha sottolineato, snocciolando i dettagli di un impegno che non si limita all’Ucraina, ma si allarga «ai dispositivi navali nel Mediterraneo» e «alle missioni in Iraq e in Kosovo».
IL FACCIA A FACCIA
Nei cinquanta minuti di tête-à-tête che hanno preceduto la visita dell’olandese al Quirinale da Sergio Mattarella e che sono stati aperti da un «sono viva» scandito dalla premier mezza influenzata quando «l’amico» Rutte ha chiesto come stesse, è però arrivato anche l’impegno del Segretario della Nato a “risarcire” in qualche modo l’Italia per la nomina ad inviato per il Fronte Sud dell’Alleanza dello spagnolo Javier Colomina. Un ruolo che l’Italia non ha mai nascosto di rivendicare.
Al punto da vivere come un affronto l’indicazione — l’ultima prima della scadenza del mandato — da parte di Jens Stoltenberg. Difficile possa esserci una sconfessione totale delle mosse del predecessore, ma l’impegno a riconoscere in qualche modo un ruolo all’Italia invce c’è stato eccome.
L’EUROPA
Rutte e Meloni d’altro canto, a prescindere dal “tu” utilizzato anche durante le dichiarazioni congiunte, non nascondono la sintonia maturata già lavorando assieme da capi di governo né gli obiettivi comuni che ora li avvicinano. A partire dalla necessità di «creare condizioni per la pace giusta in Ucraina», anche per evitare che si consolidi la possibilità che Kiev faccia da «detonatore» ad altre crisi.
Non solo il già esasperato Medio Oriente, ma pure il Kosovo dove, hanno concordato i due leader, la situazione sta diventando esplosiva. Anche per questo il colloquio — a cui solo all’ultimo si sono uniti i rispettivi ambasciatori — è stato centrato sulla necessità che al pilastro nordamericano della Nato si affianchi «un solido pilastro europeo».
«Una visione» ha spiegato la premier parlando alla stampa, per cui è «essenziale» lavorare ad «un’industria europea della difesa che sia innovativa, che sia competitiva, che sfrutti la complementarietà tra la Nato e l’Unione europea». Tradotto — e lo spiegherà con ogni probabilità lo stesso Rutte giovedì al Consiglio europeo informale di Budapest — a Bruxelles c’è bisogno che qualcuno cambi registro in fretta. Specie se oggi Trump dovesse spuntarla su Kamala Harris.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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