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tv pubblica depoliticizzata. «E il canone non si tocca»


Il Rossi pensiero è questo. Cioè TeleRossi sarà così. Si può già tracciare insomma, conoscendo il personaggio, quella che sta per essere la Rai del nuovo ad e la sua strategia per risollevare il servizio pubblico. Un po’ una road map e un po’ un quaderno di speranze quello che ha in mente Giampaolo Rossi. Accantonare, s’il vous plait, le vecchie storie sul soprannome Bussola ai tempi della militanza a destra un secolo fa, su lui tra Colle Oppio, Fare Fronte e Sommacampagna, perchè l’importante — per l’ad di Viale Mazzini come per tutti — non sono le radici (uffa lo specchietto retrovisore e basta con la retroattività!), ma gli approdi.

Ha alcune fissazioni di tipo aziendale e sistemico Rossi, il quale non sarà un ad ciarliero né un prezzemolino della mondanità perché la prudenza dell’esposizione pubblica e la parsimonia verbale sono connaturate al personaggio e rientrano nelle regole d’ingaggio. La stessa Meloni gli ha consigliato di non spaccare, di non strafare, di non provocare. Suggerimenti, per carità che Rossi già conosce perché gli appartengono moltissimo sia personalmente sia culturalmente. Basti pensare che sabato prossimo alla festa al Palazzo dei congressi all’Eur, per i 100 anni del servizio pubblico (nel 1924 partirono le trasmissioni radio dell’Eiar), la super-star sarà lui nel debutto ma, salvo improbabili sorprese dell’ultimo minuto, non si prenderà la scena, non si presenterà come il salvatore della Rai o come il generalissimo della destra meloniana che ha conquistato il Settimo Piano di Viale Mazzini e pure Saxa Rubra dove in tantissimi, tra i giornalisti, sono pronti a riciclarsi in giampaolisti. Miserie umane che a GP, come lo chiamano gli amici, non interessano.

LA STRATEGIA
Lui è convinto che non ha senso parlare di un’egemonia di destra o di sinistra in Rai e in Italia in generale, perché GP è per l’«egemonia della libertà». E perciò non sarà facile per lui difendersi, oltre che dagli attacchi della sinistra, dagli appetiti del centrodestra. Ma la Rai la conosce bene Rossi, vi entrò nel 2004 con Flavio Cattaneo che gli affidò RaiNet, «portata in pareggio il primo anno — racconta lui, fumando la sua pipa e senza mai cedere a un tono altisonante o a pose da Miles Gloriosus — e poi in attivo». Conosce la Rai, e l’ha gestita con sapienza insieme a Fabrizio Salini al tempo dei grillini uber alles pur non essendo affatto dei loro, e quindi saprà muoversi probabilmente in questo terreno a dir poco scivolosissimo.

È convinto che, come ha detto più volte, che il «canone serve a mantenere il servizio pubblico». Salvini non è dello stesso avviso, ma vabbé. Ed è arcisicuro, soprattutto, che «il servizio pubblico va rimesso al centro dell’attenzione». E che si vince, nel mercato iper-competitivo e iper-internazionalizzato, non con la lottizzazione ma con la qualità dei prodotti. Chi si aspetta di vederlo novello epurator rischia di restare deluso. Anche se è una parola trovare la qualità che rilanci la Rai, ma il buon manager si distingue proprio per questo: per la capacità di saper riaccendere la scintilla in un fuoco creativo e industriale diventato deboluccio.

Con il nuovo dg Roberto Sergio si sono scambiati i ruoli, ma il tandem che ha avuto alti e bassi promette di funzionare. E Rossi ai suoi ripete spesso: «Se vi aspettate che io vi dica che la destra farà programmi strani ed esoterici, rimarrete delusi». Il problema di GP è appunto questo: come dare un segno nuovo al servizio pubblico e creare una narrazione diversa, più post e meno ante, più modernamente rivolta alla contemporaneità, che sia inattaccabile politicamente, che sia non partigiano ma neanche insipido, che sia di trasformazione ma che rispetti la tradizione di un Paese conservatore, tendenzialmente catto-comunista o comunque conformista e disabituato ai cambi di registro. Rossi, sulla scorta della sua sensibilità storico-politica, è consapevolissimo di questa situazione.

Userà perciò equilibrio e savoir faire (ne è dotato e anche per questo Francesco Rutelli da sindaco lo nominò nel consiglio di amministrazione delle biblioteche di Roma insieme a Tullio De Mauro, compianto simbolo della sinistra intelligente) e non si sentirà Re Mida (ma figuriamoci GP semmai adora PPP, è un pasoliniano!) anche se questo fu il soggetto della sua tesi di laurea in archeologia. Non vuole essere un Narciso perché pensa che «la Rai è di tutti». Ma allora a che cosa serve uno così a Meloni che vuole togliere la Rai alla sinistra, a cui è da sempre appaltata?. Serve GP non per fare muscolosi ribaltoni ed eclatanti svolte ma per dimostrare che anche a destra esistono professionisti seri, manager performanti, energie capaci di rivaleggiare con il complesso dei migliori (o dei presunti migliori) che ha sempre animato i progressisti italiani.

Rossi s’inserisce insomma in quella filiera, di cui fanno parte Pietrangelo Buttafuoco e Alessandro Giuli, uno alla guida della Biennale e l’altro ministro della Cultura, di quella destra stanca dei vecchi schemi e che gioca a tutto campo senza essere animata dal revanchismo. La dottrina GP è questa: «Io penso alla Rai – ripete spesso – come a un grande polo che aiuti sempre di più la nostra industria audiovisiva a farsi forte sul mercato». Farà di tutto dunque, insieme al dg Sergio, al capo staff Davide Di Gregorio e al nuovo Cda, per depoliticizzare la funzione della Rai e per proiettarla in una logica industriale e neo-culturale.

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