I primi 100 giorni di Donald Trump alla Casa Bianca non sono stati tranquilli né felici. Anzi: l’amministrazione ha iniziato una guerra commerciale con la Cina, ha causato il crollo delle borse e ha aperto diversi fronti interni, con le università, con i giudici, con i media, con la Federal Reserve. Ma nessuno avrebbe pensato che, nel giorno dei festeggiamenti, Donald Trump avrebbe avuto un nuovo problema, soprattutto con una azienda considerata «amica» dell’amministrazione come Amazon. Ieri mattina, prima di andare a Detroit per la manifestazione dei 100 giorni, Trump ha chiamato personalmente Jeff Bezos. Il motivo? Capire dal fondatore del colosso quanto le voci fatte circolare da un articolo di Punchbowl News fossero attendibili: sostengono che Amazon a breve avrebbe specificato nel prezzo finale dei suoi prodotti il costo dei dazi. Va ricordato che negli Stati Uniti il 70% dei prodotti venduti da Amazon sono prodotti in Cina e che, in questo momento, i dazi all’importazione sono del 145%. La Casa Bianca ha subito attaccato il colosso, definendo la scelta «un atto ostile e politico». La portavoce del presidente, Karoline Leavitt, ha aggiunto che in passato Amazon ha collaborato con la «propaganda cinese». Il gruppo ha subito smentito le voci, sostenendo che in realtà l’idea di segnalare i costi delle tariffe fosse relativa solo al portale low cost Amazon Haul lanciato lo scorso novembre, ma che «non è mai stata approvata e che non succederà». Ma intanto le azioni del gruppo a Wall Street hanno perso oltre l’1% e soprattutto i media americani si sono occupati molto della questione, sottolineando che nei giorni scorsi l’amministrazione Trump ha messo una spina nel fianco di Amazon: tra i quasi 150 ordini presidenziali firmati da Trump, quello che ha abolito il cosiddetto «de minimis» è stato un enorme colpo per il colosso. Permetteva infatti a tutti i pacchi di un valore inferiore a 800 dollari di entrare negli Stati Uniti senza pagare alcuna tariffa. Da venerdì questa possibilità sarà cancellata.
Intanto arrivano altre notizie poco confortanti per l’economia americana: Ups ha fatto sapere che quest’anno licenzierà 20.000 persone, il 4% del totale dei suoi dipendenti, a causa della diminuzione delle consegne di Amazon. Inoltre il gruppo fondato da Bezos non è l’unico ad aver pensato di informare i propri clienti sui costi legati ai dazi: diverse aziende americane tra cui Walmart, Target e Best Buy hanno detto pubblicamente che le tariffe li costringeranno ad alzare i prezzi. Nelle scorse settimane hanno avvisato i loro investitori e in alcuni casi hanno inviato mail direttamente ai clienti spiegando la questione. Tra questi ci sono anche i gruppi automobilistici, quelli che Trump ha promesso di salvare e che ha più volte spiegato, si trovano in una condizione difficile per colpa dei democratici. L’industria automotive da tempo sostiene che le nuove tariffe aumenteranno il costo delle auto negli Stati Uniti. E così la scelta di festeggiare i 100 giorni a Detroit non è casuale: dalla città delle automobili Trump ha annunciato di voler ammorbidire il peso dei dazi.
Per esempio le aziende che pagano il 25% sulle auto e sui pezzi di ricambio importati non dovranno pagare tariffe aggiuntive sull’alluminio e sull’acciaio, due delle principali materie prime usate dall’industria. Ma dicevano, il ritorno di Trump a Detroit è anche un tentativo di riconquistare una base che in passato ha sempre votato democratico e che in questo momento, dopo tre mesi di confusione e tensioni, sta iniziando a perdere fiducia nel presidente. Detroit è stata per anni il simbolo della produzione di automobili e prima delle tensioni legate alle tariffe aveva già attraversato diverse crisi, tra cui quella di Chrysler del 2009: il gruppo dopo la bancarotta era stato salvato da Fiat e da Sergio Marchionne, in una operazione che aveva portato nel 2014 alla fusione dei due colossi e alla nascita di Fca. Sulle parti di auto importate l’amministrazione prevede di rimborsare le aziende fino al 3,75% del valore dell’auto fatta in America per il primo anno. Il rimborso sarà poi del 2,5% del valore dell’auto per il secondo anno. Le tariffe sui pezzi di ricambio entreranno in vigore a partire dal 3 maggio e colpiranno anche i gruppi che producono auto negli Stati Uniti, come Tesla per esempio, ma che dipendono dalle importazioni delle loro parti e delle batterie. Tutte le parti invece coperte dall’accordo tra Canada e Messico non subiranno alcun costo aggiuntivo. Sempre ieri Trump ha prima annunciato che visiterà l’Africa, terreno di conquista e di scontro con la Cina, e ha spiegato che l’amministrazione ha concluso un accordo commerciale con l’India e che nei prossimi giorni parlerà personalmente con l’Australia.
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