Politics

tre nomi a seconda delle deleghe


«L’importante è fare la differenza». Né nomi, né caselle. È questa la risposta che Giorgia Meloni offre a chi chiede quale poltrona da Commissario europeo sarà infine affidata all’Italia. Per farla, a Bruxelles raccontano che la premier avrebbe in mente una rosa di nomi. Almeno tre piani alternativi e utili a farsi trovare pronti anche nel caso in cui le trattative dovessero deviare dal (lungo) iter immaginato in questa fase.

Il primo e più probabile prevede che quando Ursula von der Leyen — ammesso che superi davvero le forche caudine dell’europarlamento il prossimo 18 luglio, anche grazie al tacito sostegno di FdI — chiederà a Meloni di indicare il nome italiano, sulla lettera indirizzata a rue de Berlaymont la premier apponga quello di Raffaele Fitto. Non solo per curriculum europeo o ministeriale, ma soprattutto per una questione di fiducia. Il titolare del Pnrr italiano è un fedelissimo a cui la premier sa di poter lasciare carta bianca senza grossi timori, e sarebbe per di più il profilo giusto per ottenere quella «delega su una materia economica» a cui Meloni ambisce. Probabilmente Coesione e Pnrr, forse il Bilancio o i nuovi strumenti finanziari. In ogni caso un portafogli bello gonfio. Per di più, ragionano gli strateghi europei della premier, l’idea di avere un politico “puro” a Bruxelles oggi è considerabile un valore aggiunto data la situazione complessa che si è creata all’interno del Consiglio Ue. L’unica incognita è legata alla casella lasciata vuota a Roma. Se l’idea preponderante è trasferire tutto (Sud, Coesione, Affari Ue e Pnrr) al sottosegretario Alfredo Mantovano, c’è chi ritiene che questo sia già abbastanza oberato e che si possa finire con uno spacchettamento che potrebbe coinvolgere una tra le deputate FdI Letizia Giorgianni o Ylenia Lucaselli. Aprendo però ad un ventaglio di operazioni che porterebbero anche ad altri aggiustamenti di sottogoverno.

GLI ALTRI

Tornando all’Europa, dopo il sospiro di sollievo tirato da Meloni ieri senza l’uscita dai conservatori dei polacchi del PiS (rimanendo terzo gruppo all’Europarlamento, e preparandosi ad incassare un’infornata di ruoli come due vicepresidenze, tre presidenti di commissioni e diversi questori), il piano “B” sarebbe invece rappresentato da Roberto Cingolani. L’ex ministro del governo Draghi e ad di Leonardo è assiduo frequentatore di palazzo Chigi, e a Bruxelles vanterebbe un certo prestigio dato anche dagli interventi per il price cap. «Non ci andrò ma io non temerei mai l’audizione al Parlamento Ue» avrebbe risposto divertito a chi, durante una conversazione, gli chiedeva dell’ipotesi. Smentite che per quanto siano state offerte nei giorni scorsi anche agli investitori di Leonardo, preoccupati da un eventuale nuovo cambio di gestione, in realtà sono considerate solo pretattica da chi segue da vicinissimo la partita. Al punto che tra i lobbysti più influenti a Bruxelles quello di Cingolani è considerato il punto di caduta più probabile. Le deleghe? Una tra Energia e Difesa. A patto che non siano solo “formali” o diplomatiche, ma dotate di una capacità regolatoria e di spesa tale da poter portare avanti il progetto ampio del Piano Mattei o di poter avviare sul serio un progetto comunitario di difesa.

Progetto, quest’ultimo, per cui la terza carta nel mazzo di Meloni è rappresentata dalla numero uno dei servizi e capo degli sherpa del G7 Elisabetta Belloni. A lei, già in corsa per il Quirinale, potrebbe toccare qualora a prendere quota per l’Italia fosse un portafogli identitario come quello della Migrazione. Anche in questo caso declinato nell’ottica di costruire nuove e più solide relazioni con l’Africa. Un progetto ambizioso e determinante, che motiverebbe anche la discesa in campo di una diplomatica di professione.

Insomma, lo schema c’è. Ora bisogna solo aspettare. E il tempo, garantiscono ai vertici dell’esecutivo «gioca a nostro favore».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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