Un occhio su Gaza. L’altro sui negoziati per la tregua in Ucraina. È il doppio fronte di Giorgia Meloni. Ancora lontana dai palazzi romani — ma non è escluso un rientro a breve nella capitale — la presidente del Consiglio sente al telefono Mohammed bin Salman. Ribadisce al principe ereditario saudita una condanna dura, per certi versi inedita da parte italiana del piano di invasione di Gaza a cui lavora Benjamin Netanyahu. In una nota congiunta i due leader esprimono «preoccupazione» per «le più recenti decisioni israeliane che appaiono andare verso un’ulteriore escalation militare» e chiedono «senza ulteriori ritardi la cessazione delle ostilità per porre fine alla drammatica situazione umanitaria» nella Striscia.
A Roma cresce l’insofferenza per l’oltranzismo del premier israeliano e una strage che mobilita già da tempo l’opinione pubblica italiana. Al punto che ai piani alti del governo ora non si esclude più l’ipotesi di allinearsi agli altri partner europei e di votare la sospensione del programma di scambio Ue-Israele Horizon, qualora l’invasione dovesse prendere forma. Il dossier sarà discusso al prossimo Consiglio affari esteri a Bruxelles. Con Mbs Meloni tiene la linea sostenuta già, alla vigilia, in una telefonata al leader dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen.
Da un lato la richiesta del rilascio immediato degli ostaggi in mano ad Hamas, che «non potrà avere un ruolo» nella costruzione del futuro stato palestinese. Dall’altro l’idea di una missione di pace guidata dalle nazioni arabe a cui l’Italia è pronta a partecipare. Ieri intanto è arrivato un altro segnale. Con la firma del governo italiano, insieme all’Ue, al Regno Unito e al Canada, di un appello a Tel Aviv «affinché venga concesso il pieno accesso a Gaza a tutti gli aiuti e venga garantito agli operatori umanitari e alle Ong di proseguire in sicurezza il loro impegno per la distribuzione di cibo a favore della popolazione civile nella Striscia».
Sono ore frenetiche sul piano internazionale. La presidente del Consiglio è in continuo contatto con i partner europei e questo pomeriggio parteciperà in videoconferenza a una serie di vertici con gli alleati pensati per coordinare una posizione comune, fra Ue e Stati Uniti, sul summit in Alaska di venerdì che attende Trump e Putin. Sarà collegata nel pomeriggio con Macron, Starmer, Merz, Tusk, i presidenti dell’Ue Costa e von der Leyen. Dall’altro lato il presidente americano e il suo vice, JD Vance, insieme all’ucraino Volodymyr Zelensky. E ancora, in programma, una riunione dei “Volenterosi” organizzata dall’Eliseo e da Downing Street. A Palazzo Chigi si trattiene il fiato per il vis-a-vis ad Anchorage. Zelensky, escluso, ieri ha reso pubblica la sua ira e ha fatto sapere che non intende firmare un accordo al buio su eventuali concessioni territoriali, come vuole il Cremlino. Insomma si cammina sul filo.
I DOSSIER DEL GOVERNO
Nei dossier riservati a Palazzo Chigi prende forma la linea che l’Italia terrà ai tavoli con gli alleati. «Fermo sostegno a Kiev» per una «pace giusta e duratura» e la richiesta di «adeguate garanzie di sicurezza» all’Ucraina come precondizione di qualsiasi intesa. Il tutto all’insegna di un mantra e cioè di tenere agganciati gli Stati Uniti e l’Europa al tavolo negoziale. Dietro le quinte, gli alleati europei hanno invece fatto presente al presidente con la mimetica di Kiev che un compromesso andrà trovato. Perché a forza di veti si rischia di chiudere una preziosa finestra diplomatica per archiviare tre anni di guerra. L’ottimismo non è esattamente la lente con cui il governo italiano, in queste ore, si prepara al faccia a faccia fra Trump e Putin in Alaska. Mentre al round di riunioni di oggi pomeriggio si guarda come a un primo momento della verità: sarà l’occasione per sondare la reale volontà di Trump di costringere lo zar russo a negoziare, senza imporre all’Ucraina una pace che sa di resa incondizionata.
Fondamentale, è la lettura della premier, coordinare prima una posizione comune del “gruppo di testa” europeo. Non sarà una passeggiata. Sempre nei dossier in mano al governo si passano in rassegna alcuni dei punti più spinosi della trattativa europea. Il primo: la missione dei “volenterosi” in Ucraina caldeggiata da mesi dal tandem Macron e Starmer. L’idea di una spedizione militare per presidiare il confine est è considerata ormai quasi tramontata e comunque resta ferreo il “no” dell’Italia. Si prende dunque atto con una certa soddisfazione che «i lavori della Coalizione si stanno orientando verso una direzione più politica». Il secondo: le sanzioni Ue. È in arrivo un diciannovesimo pacchetto di misure contro Mosca intitolato “ceasefire package”. Impedirà i movimenti di diversi diplomatici russi ma soprattutto colossi energetici di Mosca come Lukoil, Rosneft e Trasneft. Nei mesi scorsi l’Italia ha chiesto di “calibrare” queste sanzioni per evitare di colpire indirettamente gli interessi delle nostre principali aziende del settore, a partire da Eni, che hanno avuto importanti contratti di collaborazione con le controparti russe.
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