«Arriva un brivido, e ti trascina via/ e scioglie in un abbraccio la follia» cantavano in quell’estate del 1990, l’estate di Italia ’90, Gianna Nannini ed Edoardo Bennato: erano le “notti magiche”, quelle che altri azzurri di dopo, che allora erano bambini, fecero cantare a tutta Italia in un’estate in Germania, anno 2006.
Quel brivido si chiamava Totò: Totò Schillaci. Chi l’ha sentito lungo la schiena (ma arrivava al cuore) non può dimenticarlo. Era lo sguardo del dopogol (fu il capocannoniere di quel mondiale) che ti trafiggeva, come lui aveva fatto un attimo prima sbattendo il pallone, spesso con colpi raffinati, alle spalle del portiere avversario, chiunque questi fosse.
Notti Magiche
Erano gli occhi spiritati dallo spirito vero del calcio, quello che sa di rivincita sociale, di vittoria sportiva, di passione trascinante che l’algoritmo degli schemi, le spericolate acrobazie finanziarie, i big data e il possesso palla, il Var e gli highlights di adesso stanno annacquando. In quell’estate Gianni Mura prese in prestito, per raccontare Totò, un verso di Eugenio Montale: quello del “girasole impazzito di luce”.
Impazzì dei suoi gol “un’estate italiana” (era questo il titolo ufficiale del brano del duo rock più bello d’Italia) ma a ben riguardare con il distacco della storia, forse, in quegli occhi che sembravano voler venire fuori dall’orbita a festeggiare con i tricolori che sventolavano per le strade di casa nostra, c’era pure la malinconia della serata napoletana quando Maradona spazzò via sogno e illusione.
Il ragazzo del Sud
Quel ragazzo salito dal sud fino a Torino (il lontano cammino della speranza che ora è a ramengo) viveva la magia della sua favola, che era anche la nostra. Magari questi, i giocatori di Vicini, ci faranno rivivere non molto dopo l’epopea mundial delle pipe del Presidente Pertini e di Enzo Bearzot, l’urlo di Tardelli e la rinascita di Pablito, e Conti MaraZico o il trattamento personalizzato di Gentile ai campioni sudamericani. Totò Schillaci era l’uomo di quel nuovo destino. Non arrivò fino in fondo la squadra, lui sì, che sarà Totò per sempre.
Lo fu per i tifosi del Messina (dove andò quando saltò il trasferimento nel Palermo di casa sua per pochi spiccioli, che divennero milioni quando salì alla Juve), per quelli bianconeri; lo fu perfino per i tifosi giapponesi, che lui fu il primo italiano a raggiungere. Lo chiamavano Toto-san e lui ci voleva l’accento, Totò-san, perché Toto al Sol Levante era una fabbrica di sanitari.
La vita
Ma numeri, aneddoti, racconti, la vita grama di prima, i guai di dopo, lo showman che tentò di essere, l’altalena della quotidianità, il Baggio compagno di stanza che si chiudeva in bagno per recitare il suo credo buddista e non disturbare il vicino di letto, le molte cose che è stato e che ha vissuto Schillaci sono nulla perché su tutto c’è quell’estate primordiale delle notti con Totò, le notti magiche.
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