12.10.2025
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Economy

Tod’s, indagine sul lavoro nero. Il gruppo: rispettate tutte le norme


Un altro marchio del lusso, è il sesto, finisce nel mirino della Procura di Milano. Si tratta di Tod’s, per la quale il pm Paolo Storari ha chiesto l’amministrazione giudiziaria per «condotta agevolatoria» a seguito del mancato controllo di fenomeni di «sfruttamento del lavoro» nella catena di produzione, dove operavano opifici gestiti da cinesi. Ridotti in «una condizione di para-schiavitù», si legge negli atti dell’inchiesta, sottopagati e alle prese con macchinari che non rispettano le norme di sicurezza. La società guidata da Diego Della Valle non è indagata e «non può che ribadire di rispettare tutta la normativa vigente — sottolinea in una nota — I propri ispettori eseguono controlli costanti nei confronti dei laboratori che Tod’s seleziona e utilizza».

PROFITTI

La richiesta della Procura scaturisce da accertamenti in cui, come era accaduto per Alviero Martini spa, Armani Operations, Dior, Valentino e Loro Piana — alcuni hanno già sistemato le loro posizioni — «è stato fotografato un fenomeno dove due mondi, solo apparentemente distanti, quello del lusso e quello di laboratori cinesi, entrano in connessione per un unico obiettivo: abbattimento dei costi e massimizzazione dei profitti attraverso elusione di norme penali giuslavoristiche», evidenzia il pm nel ricorso in Cassazione (con udienza il 19 novembre) dopo che Tribunale e Corte d’Appello di Milano hanno dichiarato la competenza territoriale della Procura di Ancona. L’accusa contesta a Tod’s l’agevolazione «colposa» dello sfruttamento dei lavoratori in quattro subfornitori-opifici, due in Lombardia e due nelle Marche. Ma c’è una differenza: nei laboratori “Wang Junii” a Macerata e “Lucy srls” a Fermo «venivano realizzate parti di calzature», soprattutto tomaie, destinate agli acquirenti, in quelli nei pressi di Milano «si confezionano divise per i commessi dei negozi di Tod’s», quindi capi non in vendita e per questo i giudici non hanno riconosciuto la condotta agevolatoria. Ritenendo invece le scarpe «beni rappresentativi della casa di moda», con la necessità di «un livello di controllo più capillare al fine di garantirne l’originalità e la qualità del prodotto da vendersi al pubblico». Tesi non condivisa da Storari, che sottolinea come «la distinzione tra scarpe, dove Tod’s dovrebbe effettuare un penetrante controllo, e prodotti a uso interno (divise, dove Tod’s non dovrebbe controllare nulla), pare introdurre una sorta di distinguo tra caporalato consentito e non consentito che è fuori dal sistema».

LAVORO OTTOCENTESCO

Il pm dipinge uno scenario di «pesante sfruttamento», con lavoratori pagati 2,75 euro all’ora per assemblare mocassini venduti a 700 euro. Cuciono soprattutto di notte, festivi e Natale compresi come si evince dai consumi di elettricità, dormono e cucinano in stanze attigue ai laboratori, luoghi «fatiscenti» con «macchinari privi dei dispositivi di blocco per aumentare la produttività» che «concretizzano condizioni di lavoro ottocentesche». Un sistema per il quale la «competitività nei confronti delle aziende cosiddette virtuose è talmente elevata che, allo stato attuale, ha drogato il mercato». Con la norma per la «certificazione in via preventiva, da un’autorità terza, della piena sostenibilità della filiera per quanto riguarda la legalità, metteremo in sicurezza i brand della moda italiana», afferma Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del made in Italy.


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