Fermi all’ultimo ostacolo, dopo averne saltati una batteria infinita. È la beffa con cui si trova a fare i conti l’ex Ilva di Taranto ma anche il governo, al fotofinish di una partita che va avanti ormai da un anno e mezzo. Le dimissioni del neo sindaco tarantino Pietro Bitetti rimbalzano a Roma in un lampo. Giovedì, infatti, era attesa la riunione decisiva, quella che avrebbe ridisegnato il futuro dello stabilimento, una storia legata a doppio filo con la città che ospita le acciaierie ormai da 65 anni, tanto da averne cambiato il volto, modificandone i tratti. Una riunione che comunque si farà, perché il ministro delle Imprese Adolfo Urso e il governo tutto hanno deciso di tirare dritto, dopo ben 2 rinvii in appena un mese. L’indomani, primo agosto, i sindacati verranno ricevuti a Palazzo Chigi per essere aggiornati sul futuro che attenderanno i lavoratori, la regia della riunione affidata al sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano.
L’accordo “s’ha da fare”, a costo di uscire dall’incontro di giovedì con un’intesa a metà, che è quel che, con buone probabilità, accadrà se Bitetti non dovesse ripensarci, abbandonando davvero la fascia tricolore. Dunque sì ai tre forni, mentre il rigassificatore verrebbe lasciato in stand-by, perché sulla nave da attraccare in rada o in porto è il Comune a dover dire l’ultima parola. Ma vediamo cosa prevede il piano di decarbonizzazione sul tavolo, che ha l’obiettivo di realizzare la transazione green delle Acciaierie dopo un passato segnato da un territorio avvelenato, lutti, dolore. Sono due gli scenari principali che il governo ha messo a punto. Il primo prevede entro il 2033 (6 anni in anticipo rispetto alla stima iniziale) l’attivazione a Taranto di 3 forni elettrici, 4 impianti DRI per il preridotto di ferro, altrettanti impianti di cattura e stoccaggio della CO2 e l’arrivo di una nave rigassificatrice offshore per alimentare l’intero sistema, con un fabbisogno di 5 miliardi di metri cubi di gas l’anno. A Genova verrebbe realizzato un ulteriore forno elettrico con relativo impianto DRI per portare la produzione totale a 8 milioni di tonnellate. Per ottenere un acciaio resiliente e di alta qualità, l’unico sopravvissuto all’export in Usa dopo la prima mannaia dei dazi scesa da Trump nel 2018, che ha letteralmente falcidiato l’esportazione di acciaio italiano. E ora resi ancor più salati (50%) con il ritorno del tycoon alla Casa Bianca. Ma torniamo al piano di conversione green del governo. L’altro scenario punta a completare il processo in sette anni, mantenendo a Taranto solo i tre forni elettrici, ma senza impianti DRI. Il preridotto verrebbe prodotto probabilmente a Gioia Tauro, sfruttando il rigassificatore a terra già previsto ma che deve ancora essere realizzato, per poi essere trasportato allo stabilimento pugliese. Questa soluzione recepisce il no del Comune di Taranto all’approdo della nave rigassificatrice. Anche qui è prevista una nuova centrale elettrica ad alta efficienza per evitare acquisti di energia dalla rete. Tuttavia, l’esclusione del preridotto a Taranto potrebbe comportare circa 700 esuberi in più, oltre a quelli già stimati per la transizione, con il rischio di perdere posti di lavoro che potrebbero essere destinati alla ricollocazione interna. A fronte delle ipotesi governative, il Comune di Taranto propone una terza via: decarbonizzazione graduale con i 3 forni elettrici, un solo impianto DRI, un impianto di cattura CO2, e l’utilizzo della rete gas attuale senza necessità di nuove infrastrutture come la nave Fsru. La bozza menziona anche il possibile dissequestro dell’altoforno Afo1 il 15 settembre, con riavvio completo dei tre altiforni previsti per marzo 2026. Intanto ieri Urso ha riunito in videochiamata i rappresentanti delle associazioni delle imprese di Taranto, della Camera di Commercio e della Regione Puglia. Affrontando anche il tema delle risorse. Perché tra i due scenari tracciati passano 6 miliardi di euro. Variano infatti da 9 a 3 miliardi, in relazione al percorso che Taranto sceglierà di intraprendere. Con tutti i contratticolpi del caso per lavoratori e indotto.
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