Che l’assetto dell’Unione europea sia destinato a spostarsi sempre più verso destra è una delle convinzioni che ispirano ormai da tempo le mosse di Giorgia Meloni a Bruxelles. È quindi nelle cose che la premier accolga con favore anche i risultati raccolti da Marine Le Pen al primo turno delle elezioni legislative francesi.
L’autogol di Macron
«Ho sempre auspicato anche a livello europeo che venissero meno le vecchie barriere tra le forze alternative alla sinistra — ha spiegato ieri la presidente del Consiglio commentando i risultati d’Oltralpe — e mi pare che anche in Francia si stia andando in questa direzione». Così come è nelle cose che a prevalere sia però la prudenza. Se è vero che il Rassemblement national si è imposto con quella che la premier definisce una «netta affermazione», lo è anche che il ballottaggio potrebbe cambiare tutto in caso di reciproca desistenza tra il gruppo di sinistra e la coalizione di Emmanuel Macron. E dare per sconfitto uno come il presidente francese, non proprio amatissimo dalle parti di palazzo Chigi, è un errore che né Meloni né i suoi fedelissimi hanno in mente di fare.
Meloni tifa per Marine Le Pen
Così mentre la premier se la cava con qualche battuta («Tratto con rispetto le dinamiche politiche ed elettorali delle altre nazioni» ha detto, ma «se mi chiede se preferisco la sinistra o la destra…Ovviamente preferisco la destra»), capita che in chi lavora a strettissimo contatto con lei sulle strategie europee si sollevi più di qualche timore. Insomma pur sperando che il 7 luglio prossimo Macron vada incontro ad una débâcle che garantirebbe all’Italia maggior margine di manovra nella scelta delle deleghe che costituiranno la prossima commissione europea a guida Ursula von der Leyen, dei dubbi su come andrà restano. «Può esserci una sorpresa al doppio turno — si ragiona — Le Pen potrebbe anche non vincere di poco».
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L’AUSPICIO
L’auspicio però è chiaramente opposto, al netto di chi vorrebbe una premier contrariata dai riflettori puntati su Marine come nuovo astro nascente della destra di governo europea. «Per la prima volta il partito di Le Pen ha avuto degli alleati già dal primo turno (Marion Maréchal e l’ex leader dei Républicain Eric Ciotti ndr) e per la prima volta mi pare che anche i Républicain siano orientati a non partecipare al cosiddetto “fronte repubblicano”» ha scandito la premier parlando all’Adnkronos, quasi a sottolineare il primato italiano nella capacità di individuare in un’ampia coalizione di centrodestra la ricetta vincente.
«Lo dico perché noto qualcosa che in forme diverse avviene anche in Italia — ha continuato Meloni — il tentativo costante di demonizzare e di mettere all’angolo il popolo che non vota per le sinistre. È un trucco che serve a scappare dal confronto sul merito delle diverse proposte politiche. Ma è un trucco in cui cadono sempre meno persone…lo abbiamo visto in Italia, si vede sempre di più in Europa e in tutto l’Occidente».
LA DESTRA UE
Riecco quindi il punto di partenza e l’idea che anche la destra europea debba diventare capace di fare squadra. Con il tempo è chiaro, e lasciando che a prevalere siano le formazioni che non solo hanno la giusta forza per farlo ma pure che siano in grado di non scatenare l’imposizione di un cordone sanitario.
Il riferimento è al nuovo gruppo patriottico messo in campo da Viktor Orbán (con cui ieri Meloni si è congratulata per l’inizio del suo semestre alla guida della Ue, garantendo «l’impegno a lavorare insieme sulle priorità» come «la competitività globale» il «rafforzamento della politica di difesa», «l’allargamento» e il «contenimento dell’immigrazione irregolare») che, secondo alcune voci, potrebbe presto veder rimpinguare le sue fila da Matteo Salvini e, perché no, dalla stessa Le Pen. Un nuovo contenitore dell’ultradestra sovranista che — a differenza di Identità e democrazia, famiglia all’Europarlamento della Lega e di Le Pen — possa vantarsi di avere la “fedina” pulita dalle accuse di aver ospitato tra le proprie fila i neonazisti tedeschi dell’Afd. Un gruppo in cui per di più potrebbero confluire anche una parte del PiS e di Vox, cioè dei partiti polacco e spagnolo oggi alleati di Meloni a Bruxelles. Operazione, quest’ultima, tutta da verificare, ma che comunque — in maniera forse contro intuitiva rispetto alle analisi di alcuni — «non crea un problema, anzi». Ai vertici di FdI e dei conservatori europei (riuniti in conclave in Sicilia da ieri fino a giovedì) sono infatti convinti che il maxi gruppo orbaniano possa finire da un lato con il rendere Meloni unica mediatrice possibile quando l’Europarlamento inizierà a votare sui singoli dossier, dall’altro con il legittimare il ruolo della premier all’interno del Consiglio europeo.
Già durante la scorsa legislatura Meloni è stata più volte chiamata ad intervenire su Orbán per smussarne gli angoli e certe iniziative che con l’agenda europea non avevano poi granché a che fare. Un ruolo che oggi, con un leader ungherese che avrebbe le spalle ancora più larghe, renderebbe la premier decisamente più centrale. Per di più senza il timore di essere scavalcati a destra perché, questa la riflessione ricorrente tra i meloniani, «più il gruppo di Orbán è grosso, più gli si costruirà un cordone sanitario attorno». L’idea è che Ecr potrebbe anche rinunciare ad essere il terzo partito all’interno del Parlamento europeo (scivolando al quarto, dietro a Renew di Macron), ma resterebbe la sola porzione presentabile della destra.
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