Appena mi ha visto, ha voluto subito confessarsi. Ho trovato un ragazzo fragile, chiaramente provato ma molto lucido e in grado di comunicare. Mi ha detto questa frase: “Tu sei quello di ‘Non esistono ragazzi cattivi’” e poi l’ho confessato. È stato un incontro molto intenso».
Don Claudio Burgio è il cappellano del carcere minorile Beccaria di Milano dove si trova il diciassettenne che nella notte tra sabato e domenica scorsi ha ucciso il padre, la madre e il fratello di 12 anni a Paderno Dugnano, nell’hinterland di Milano. «Il ragazzo ha chiesto di confessarsi appena mi ha visto», racconta don Claudio con un filo di commozione, «poi dopo la confessione abbiamo parlato ancora. Sui giornali era uscito il ritratto di un adolescente con difficoltà a comunicare ma io questa difficoltà non l’ho vista. Questa vicenda scuote tutti, compreso me che in vent’anni da educatore a contatto con ragazzi dal vissuto difficile, ne ho viste tante».
Per il cappellano del carcere dove è rinchiuso il diciassettenne che nella notte tra sabato e domenica ha ucciso i genitori e il fratellino «non esistono cattivi ragazzi». Don Claudio Burgio ha incontrato nel carcere minorile di Milano il ragazzo, lo ha descritto come una persona «fragile, chiaramente provato ma molto lucido e in grado di comunicare. In lui, come in altri ragazzi che incontro, ho trovato un vuoto profondissimo che è un abisso a cui gli adulti, compresi noi preti, non sappiamo né intercettare né rispondere».
Il sacerdote non tira in ballo il tema del Male, del mysterium iniquitatis, preferisce soffermarsi sull’aspetto umano. «Ha dentro un dolore profondissimo che non riesce a decifrare e a vivere. La nostra società chiede sempre di essere performanti e ha la pretesa di avere sempre una risposta su tutto, ma sono risposte banali che non solo non colmano il vuoto ma neanche lo sfiorano».
Strage Paderno Dugnano, Lorenzo ucciso dal fratello che adorava: «Lo vedeva come esempio, cercava di imitarlo. Spesso lo andava a prendere a scuola»
Don Claudio in una intervista a Famiglia Cristiana fa una premessa: «Quello che mi sento di dire è che in questi casi ci vuole un lungo silenzio. Una sospensione del giudizio perché è troppo drammatico quando accaduto da poter essere spiegato subito come noi magari pretendiamo di fare. Il ragazzo non è in grado di dare una spiegazione, noi nemmeno. Non è pensabile capire oggi il perché di questo gesto. Bisogna avere pazienza, aspettare il tempo che sarà necessario».
Il cappellano: «Molti giovani analfabeti dal punto di vista emotivo»
Il cappellano è certo che si tratti di un ragazzo normale, all’interno di una famiglia normale, che non ha un vissuto di disagio. «Quello che ho percepito, e che riscontro in tanti ragazzi che vivono con me in comunità, che c’è un vuoto interiore profondo. Molti di questi adolescenti hanno domande molto forti sul perché del dolore e della sofferenza ma sono analfabeti dal punto di vista emotivo. Non riescono a decifrare queste emozioni, a ordinarle nella propria esistenza e di conseguenza neanche a viverle».
La radice è il male interiore. «Ho la sensazione, anzi la certezza, che questi ragazzi non sappiano a chi rivolgersi». Nell’interrogatorio in cui ha confessato il triplice delitto, il ragazzo ha detto che si sentiva “oppresso” all’interno della propria famiglia. «Lo ha ripetuto anche a me. Un senso di oppressione e un’estraneità non solo per quanto riguarda la famiglia ma in generale, anche nelle altre relazioni sociali. (…) Siamo di fronte a un vuoto educativo che compensiamo, ad esempio, con una risposta medica. Questo è un altro grande problema. Quando uno agisce in un certo modo o è instabile o è pazzo. Anche le parole che adoperiamo per discutere di questi casi arrivano tutte dal gergo medico: follia, psicofarmaci, calmanti. È un modo tragicamente sbagliato di intendere le domande profonde dei ragazzi».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Leave feedback about this