Prima, in audizione alla Camera, la richiesta di altri incentivi pubblici per risollevare le sorti di Stellantis, poi, durante un’intervista, l’annuncio che i licenziamenti nel gruppo sono possibili. L’uno-due di Carlos Tavares, ad del colosso automobilistico in mano ad Exor controllato dalla famiglia Elkann, manda su tutte le furie le forze di maggioranza e opposizione, scatena le ire del sindacato e innesca una serie di polemiche ad alta tensione.
LE INDICAZIONI
Di certo il top manager sembra aver preso una strada impervia dopo il flop delle vendite e il “profit warning” sui profitti che ha mandato a picco i titoli in Borsa. Il cambiamento, realizzato in fretta e furia di quasi tutta la prima linea dei manager, sacrificati per i mancati obiettivi raggiunti, non è stato l’ultimo atto. Semmai il primo di una serie di interventi draconiani di fronte ad un calo del 30% delle vendite e ad una riduzione ancora più marcata della produzione in Italia. «Non escludo — ha detto Tavares — un taglio del costo del lavoro». Tradotto significa che i licenziamenti sono possibili. Poi, avendo capito di aver esagerato, la marcia indietro per precisare. «Sicuramente non scarto nulla», nessuna opzione, ma il taglio di posti «non è al centro della nostra riflessione strategica, al centro della nostra strategia c’è la qualità dei prodotti, l’innovazione e la dimensione accessibile della mobilità e il fatto che i clienti devono essere felici». Parole che hanno scatenato l’ira dei partiti. Che ora chiedono una operazione verità sugli aiuti di Stato ricevuti da Fiat-Stellantis in questi anni. Il più duro è Carlo Calenda, leader di Azione, che, insieme all’opposizione, chiede a John Elkann, azionista di maggioranza di Stellantis, di venire in Parlamento a spiegare che futuro immagina per gli stabilimenti made in Italy. In tanti, sindacati in primis, ipotizzano un disimpegno graduale con la delocalizzazione all’estero delle produzioni, peraltro già avviata. La Lega vuole sapere quanti soldi sono finiti nelle casse di Torino tra Cig, sostegni alla costruzione degli impianti, bonus per comprare autovetture. Una stima, fornita dai sindacati, indica in circa 900 milioni le somme ricevute fra cassa integrazione, agevolazioni per assunzioni e contratti di espansione. Non solo. Nel 2020 in piena pandemia, con il governo Conte II in carica, Fca ha ricevuto 6,3 miliardi di prestito coperto da garanzia pubblica. Una linea di credito che doveva essere utilizzata per pagare gli stipendi, i fornitori e mantenere gli investimenti programmati in Italia. Ma che è anche servita per mandare in porto la fusione con il gruppo francese Psa, da cui nasce, a gennaio 2021 Stellantis, che poi salda i conti in anticipo. Al comando, come si ricorderà, arriverà proprio Tavares, il ceo più pagato d’Europa: circa 24 milioni l’anno (esclusi i bonus), tanto quanto lo stipendio di oltre mille dei suoi metalmeccanici.
Ora di fronte alla crisi, che attanaglia quasi tutti i costruttori europei, anche a causa della concorrenza cinese e delle regole stringenti sull’auto green, riemerge lo spettro della chiusura di una parte degli stabilimenti Stellantis. Così Angelo Bonelli, Carlo Calenda, Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni ed Elly Schlein tornano a chiedere l’audizione del presidente John Elkann. «Vogliano garanzie sul piano dell’occupazione e su quello della produzione», spiegano, ricordando che queste assicurazioni al momento sono «disattese», nonostante il «sostegno pubblico di cui la società ha goduto a lungo». Da Parigi Elkann ha nuovamente smentito la fusione con Renault, ribadendo la fiducia a Tavares.
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