Con l’Ucraina senza e senza ma. Giorgia Meloni pianta i paletti dalla hall dell’hotel St Regis di Washington, poco prima del volo di rientro in Italia. «Sento che qualcuno dice: se si continuano a inviare armi all’Ucraina si alimenta la guerra. Dipende da cosa si invia. Senza la difesa aerea i missili in Ucraina avrebbero colpito molta più gente». E ancora: «Non si puó scmbiare la pace con un’invasione. Il sostegno all’Ucraina é nel programma di governo, la maggioranza è compatta». Stronca così la premier italiana il brusio di chi, anche dentro al centrodestra, Lega in testa, contesta la linea atlanista ribadita al vertice Nato. Ma prevale la prudenza, nel confronto finale con i cronisti.
Nato, l’anima “glam” del vertice: dal look della cena di gala al tifo di Starmer per i Leoni
Incalzata sulla salute barcollante di Joe Biden, Meloni glissa: «L’ho visto bene, gli faccio i complimenti per questo vertice». Oltre non va, nel commentare la sfida con Trump, perché «sono stata giá io vittima di ingerenze straniere nella politica italiana». Né scioglie qui in America il grande nodo della Commissione Ue. Fratelli d’Italia voterà il bis Ursula von der Leyen? «Come premier posso dire che l’Italia chiederá il massimo — spiega lei — come leader dei conservatori, ascolteremo cosa ha da dire von der Leyen». Su una cosa non transige la presidente del Consiglio ed è proprio la linea atlantista. Ribadita a Washington con un allarme circostanziato lanciato ai partner. C’è un momento del Consiglio Atlantico, il riservatissimo conclave dei leader della Nato a Washington Dc — i cellulari restano fuori, “sequestrati” — che catalizza l’attenzione dei presenti. Joe Biden e Justin Trudeau, Olaf Scholz e un recalcitrante Emmanuel Macron. Meloni prende in mano una cartina geografica.
L’ALLARME
Sullo sfondo, c’è la mappa dell’Africa subsahariana e mediterranea. Sopra, incollate, due slides di plastica che, una volta sovrapposte, mostrano la penetrazione di Cina e Russia in quei territori. «Vedete?» incalza la premier italiana i presenti riuniti intorno al tavolo ellittico del Washington Convention Center — «non possiamo rimanere inerti». Insieme, le due slides colorano tutta la mappa. L’ombra di Mosca si staglia sui Paesi del Sahael, il Niger, il Chad, la Libia. Quella di Pechino sull’Africa orientale: Etiopia, Eritrea, Sudan. L’Europa, gli Stati Uniti? Non pervenuti. L’Italia chiede alla Nato di impegnarsi attivamente per stabilizzare il Nord Africa. «Altrimenti l’Africa sarà spartita tra Russia e Cina», spiega Meloni al vertice. Sono mesi di apprensione a Palazzo Chigi per il dossier africano. Anche per questo la prossima settimana la premier partirà alla volta della Libia. Di nuovo la minaccia russa è sul tavolo. La brigata Wagner, i mercenari dell’oligarca ribelle Prigozhin, non è stata smantellata da Putin. In Libia si fanno chiamare Afrikanskij Korpus. Tra gli 800 e i 2000, secondo le stime della nostra intelligence. E non ci sono solo Cina e Russia. Anche l’Iran allunga la sua influenza da queste parti, ha iniziato ad acquistare uranio dal Niger dei golpisti per rilanciare il suo programma atomico.
E alla ministeriale esteri del G7 Antonio Tajani richiama l’attenzione sull’escalation in Sudan. Al conclave Nato Meloni scuote gli altri leader. Spiega il grande pericolo che corre l’Europa. La grande fuga dal gas russo dopo l’invasione in Ucrajna può avere un esito paradossale. Uscita dalla porta, la Russia rientrerà dalla finestra, nella plancia di comando dei governi africani con cui l’Europa — e l’Italia in primis — hanno stretto accordi miliardari. Per avere un’idea della preoccupazione di Meloni, basti pensare che per la posizione di inviato speciale della Nato per il Sud — appena istituita — ha pensato a una persona di fiducia. E di altissimo profilo. Vorrebbe che il suo amico Mark Rutte, l’olandese che da ottobre guiderà la Nato come segretario, incaricasse Elisabetta Belloni, direttrice del Dis e sherpa G7, sempre più presente nelle decisioni che contano. Nei colloqui al summit Nato, la delegazione italiana ha posto l’accento sulla posizione «equilibrata» di Roma sulla guerra a Gaza, a differenza del governo Sanchez che ha riconosciuto lo Stato della Palestina.
I PROGRAMMI
Cosa può fare in sostanza la Nato? Ad esempio, addestrare le forze militari dei Paesi nordafricani, dalla Tunisia all’Algeria, dove è stato in visita per il Piano Mattei il consigliere diplomatico di Meloni, Fabrizio Saggio, prima di approdare a Washington. O ancora aiutare l’Egitto nei programmi di sminamento. Istruire la giunta in Niger a combattere il terrorismo di Daesh e Al Qaeda. E contrastare le avances cinesi in Libia, usando il centro Nato per le catastrofi naturali di Taranto per mobilitare forze e ricostruire Derna dopo l’alluvione. La speranza, a Roma, è che si passi in fretta dalle parole ai fatti. O ci penseranno altri.
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