«C’è una cifra comune a tutte le misure contenute nel Ddl Nordio: lancia dei segnali giusti, su un’idea di riforma liberale della giustizia che salutiamo con favore. Ma in alcuni casi, le deroghe previste, comporteranno un impatto presumibilmente limitato e marginale». Commenta così l’avvocato Gian Domenico Caiazza, ex presidente dell’Unione camere penali e storico componente del pool difensivo di Enzo Tortora, il provvedimento approvato ieri dalla Camera con 199 sì, 102 contrari e nessun astenuto.
Il disegno di legge garantirà una maggiore tutela verso il terzo estraneo al procedimento, rispetto alla circolazione delle comunicazioni intercettate.
«Il principio della riforma delle intercettazioni è molto positivo: non bisogna identificare i terzi che interloquiscono con gli indagati, né bisogna nominarli nelle ordinanze di custodia cautelare. Ma subito dopo la norma aggiunge: “salvo che non si ritenga rilevante”, rimettendo quindi a una valutazione. Ma da chi verrà sindacata? Il principio contenuto in questa norma è sacrosanto, poi però viene inserita la possibilità di una deroga».
Questo però non vale per l’abuso d’ufficio, che è stato abrogato del tutto.
«L’hanno eliminato ma hanno reintrodotto il peculato per distrazione, per dare copertura penale agli abusi in atti d’ufficio a contenuto patrimoniale. Quindi, benissimo che siano state depenalizzate condotte di pura attività amministrativa, però la reintroduzione del peculato per distrazione di fatto mantiene tutte le condotte abusive a contenuto patrimoniale: il pubblico ufficiale che utilizza una somma per una destinazione diversa da quella prevista».
Cosa pensa invece della norma introdotta sull’interrogatorio preventivo, cioè prima di disporre la custodia cautelare in carcere?
«Innanzitutto l’interrogatorio preventivo vale solo per i reati meno gravi. Poi quando non risulti necessario che la misura sia a sorpresa, ma praticamente tutte le misure cautelari sono a sorpresa. L’altra deroga all’interrogatorio preventivo è: “quando esiste il pericolo di fuga o di inquinamento probatorio”. Cioè praticamente sempre, considerato che rimane solo la terza esigenza cautelare prevista dall’ordinamento: ossia il pericolo di reiterazione del reato. Ma io nella mia esperienza di legale non ho mai visto una misura cautelare che si fondi solo sul pericolo di reiterazione del reato. Il pericolo di inquinamento delle prove, per esempio, non si nega a nessuno. E lo abbiamo visto anche nella vicenda Toti: dopo tre anni dai fatti contestati, il gip ha ritenuto di dargli gli arresti domiciliari anche sulla base dell’inquinamento probatorio. Inoltre, è escluso l’interrogatorio preventivo anche quando, “per la tipologia specifica del reato, la cautela si appalesi indifferibile”. Sono deroghe impattanti».
La riscrittura del reato di traffico di influenze illecite le sembra più incisiva?
«Sì, quella è decisamente fatta bene. Era una norma troppo indeterminata e andava giustamente ristretta».
Si otterrà uno snellimento con la norma che preclude la possibilità del pm di ricorrere in appello per le sentenze di assoluzione che riguardano reati di «contenuta gravità»?
«Potenzialmente sì, ma stiamo parlando di una casistica molto limitata. Perché stiamo parlando di reati di competenza del giudice monocratico. Se uno dovesse consultare le statistiche ministeriali su quanti appelli fanno i pubblici ministeri sui reati di competenza del monocratico, probabilmente scoprirebbe che si tratta solo del due per cento o giù di lì. Non ci sono magistrati che appellano le sentenze che riguardano reati “minori”, al massimo lo fanno per le colpe professionali, come le colpe mediche. Quindi l’appello del pm non è stato eliminato, ma resta per i reati dove è abituale: quindi omicidi, mafia, corruzione, violenza sessuale, bancarotta, ecc. Ed è eliminato su reati per i quali i pubblici ministeri già non impugnano le sentenze di assoluzione».
Valeria Di Corrado
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