21.05.2025
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Politics

sì ai fondi per i ritocchi


Zero emendamenti. Come zero sono al momento gli euro nel salvadanaio per le modifiche parlamentari alla terza manovra targata Meloni. È bastata l’indiscrezione a far gelare il sangue alle truppe di onorevoli del centrodestra. Il Mef, cioè Giancarlo Giorgetti, ha deciso che quest’anno il “borsellino” per gli emendamenti alla Camera sarà azzerato. Nessuno tocchi la manovra, è il senso della decisione presa a via XX settembre e anticipata da questo giornale.

I TIMORI

Sarà solo un avvertimento? Lo sperano i parlamentari di Fratelli d’Italia, Forza Italia, Lega e Noi Moderati che già pregustavano la “fase 2” della legge di bilancio. Cioè l’approdo in Parlamento — previsto tra il 21 e il 22 ottobre, ma potrebbe slittare a fine mese — e la tortuosa processione in Commissione Bilancio dove i partiti, ma anche i singoli parlamentari, possono chiedere e ottenere di ritoccare il testo.

In teoria. In pratica, quest’anno più degli anni scorsi, sarà un’impresa. Lo sa il ministro ai Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani che insieme ai capigruppo dovrà parlare con le truppe in aula, contenerne gli appetiti. Ancora ieri annunciava all’Adnkronos: la finanziaria battezzata dal Cdm di martedì sera seguirà «un iter ordinato e fluido». Salvo poi precisare, a scanso di equivoci, che non mancherà «il rispetto delle prerogative parlamentari, sia di maggioranza che di opposizione». Come a dire: il Parlamento non si potrà commissariare.

Nei giorni scorsi le voci di una stretta brusca sui fondi ai gruppi parlamentari erano arrivate dalle parti del ministero del colonnello friulano di FdI. Tutte scacciate come rumors dai suoi consiglieri: «Non possono tagliare tutte le risorse, altrimenti il Parlamento non si tiene». Invece Giorgetti faceva sul serio. E con lui Meloni. Decisa a sottrarre la Manovra da uno stillicidio di ritocchi e restyling che sempre allungano i tempi e fanno litigare gli alleati più coriacei.

È prassi pluridecennale, per il governo, accantonare un “tesoretto” per i ritocchi in aula. Dare copertura alle proposte più svariate e talvolta improbabili. Un mini-bonus qui, una sovvenzione lì. Il rifinanziamento di una fondazione amica, l’assist a una delle tante categorie che puntualmente piombano sulla finanziaria durante l’esame: dai balneari agli ambulanti, dalle aziende farmaceutiche ai produttori di armi. Sta ai capigruppo e ai colonnelli di partito frenare le richieste più inopportune, concentrare quel poco che c’è su proposte con un ritorno politico ed elettorale. Per  questo l’idea di una tagliola sui fondi parlamentari già crea un po’ di subbuglio in Transatlantico.

È qui alla Camera quest’anno che la manovra sarà bollinata per poi trasferirsi al Senato e rimanerci, inviolata. Mercoledì sera, a poche ore dal Cdm di esordio della nuova legge di bilancio, il presidente della Commissione Finanze di FdI Marco Osnato metteva le mani avanti passeggiando davanti alla buvette. «Non credo sarà vietato fare emendamenti..». Poi subito il chiarimento: «Certo, per la maggioranza ha poco senso farne!». È il più posato dei commenti fra le stanze di Montecitorio. Scalpitano leghisti e forzisti che, checché ne dica la linea ufficiale, si aspettavano di più dalla bozza della finanziaria. Sulle pensioni i primi, sul taglio dell’Irpef il partito azzurro. Sicché la linea zero emendamenti viene digerita a fatica, «vedrete che non passerà» si danno di gomito. Si vedrà.

LE OPPOSIZIONI

L’anno scorso il tesoretto per il Parlamento ammontava in origine a 400 milioni, poi ridotti a circa 200. La metà dei quali messa a disposizione delle opposizioni. Che allora serrarono i ranghi e decisero di spendere 40 milioni per un progetto meritevole: un fondo contro la violenza sulle donne, nel nome di Giulia Cecchettin. A loro, il “campo largo”, il governo dovrà concedere qualcosa: così vuole la prassi istituzionale. Ai deputati della maggioranza invece chissà.

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