03.11.2025
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Politics

separazione delle carriere, due percorsi distinti per pm e giudici. L’idea di Falcone è realtà


Era il sogno berlusconiano, adesso è realtà. La storica decisione della separazione delle carriere modifica l’articolo 104 della Costituzione, aggiungendo al dettato: «La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere» la frase: «Essa è composta dai magistrati della carriera giudicante e dalla carriera requirente». Da anni la riforma era il simbolico terreno di scontro tra toghe e forze politiche del centrodestra. La legge ordinaria, che seguirà alla modifica, prevederà due diversi concorsi a seconda della carriera da intraprendere. Mentre le leggi attuative dovranno arrivare entro un anno dall’entrata in vigore della riforma.

La storia

Il voto di ieri in Senato ha avuto una lunghissima gestazione ed è stato al centro di un dibattito politico e parlamentare e di polemiche sempre più feroci. Tra chi riporta le parole di Giovanni Falcone, come fautore delle modifiche costituzionali, con pm e giudici come figure «strutturalmente differenziate nelle competenze e nella carriera», e chi, come i suoi colleghi, sostiene invece che dopo la sua morte al giudice di Palermo continuino ad essere attribuite fake news. Ma il confronto, senza disturbare i padri costituenti, era cominciato molto tempo prima, già all’epoca della riforma Vassalli che, al contrario del Codice Rocco, prevedeva una divisione netta di ruolo e di funzioni tra il pubblico ministero e il giudice per le indagini preliminari, cioè il magistrato chiamato a giudicare la fondatezza di un’accusa sulla base delle prove raccolte. E comunque non è sempre stata un’idea del solo centro destra, visto che la commissione bicamerale promossa e presieduta da Massimo D’Alema, segretario del Pds, tra il ‘97 e il ‘98, ipotizzava l’introduzione nella Costituzione della separazione delle carriere. Sono stati i toni del Cavaliere contro la magistratura, la critica feroce alle toghe, l’attacco violento, diventato il cuore del programma berlusconiano, a rendere la questione un terreno di scontro, facendo del tutto dimenticare che, persino Giuliano Pisapia, da deputato di Rifondazione, nei primi anni Duemila aveva presentato una proposta di legge. Da allora ci sono stati molti interventi legislativi che hanno di fatto reso molto difficile e raro il passaggio di funzione, con un’incidenza minima di percentuali.

I numeri

Nel tempo le funzioni di pm e giudice sono diventate sempre più lontane. A cominciare dal 2006, con la riforma Castelli, che ha reso il passaggio più complicato e meno ambito: consentito un massimo di quattro volte nell’arco della carriera, dopo almeno cinque anni di servizio continuativo nella stessa funzione e solo al termine di una procedura concorsuale e una valutazione di idoneità. Tanto che tra il 2011 e il 2016, il passaggio ha riguardato rispettivamente lo 0,21% dei requirenti e lo 0,83& dei giudicanti (nella seconda metà degli anni Novanta erano rispettivamente del 6/8,5% e del 10/17%). Numeri destinati a ridursi ancora con la riforma Cartabia del 2022, che ha limitato la possibilità del passaggio da quattro a una sola volta, nei primi dieci anni di carriera, ma prevedendo anche un cambio di distretto e regione. Escludendo però il ruolo negli uffici che hanno la competenza giudiziaria sulle toghe del distretto dal quale si proviene. I pm romani ad esempio non possono andare a Perugia. Nel 2022 le domande di passaggio di funzione sono state 25, nel 2023, 34 su un organico di quasi 10mila magistrati.


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