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scatti a rischio sopra i 35mila euro


Più giorni di smart working, almeno per alcune categorie di lavoratori, attraverso il superamento del criterio della «prevalenza» del lavoro in presenza.

La novità è nella primissima bozza del nuovo contratto di lavoro per i dipendenti pubblici del comparto delle Funzioni centrali, che sarà discussa domani tra l’Aran, l’agenzia governativa che tratta per la parte pubblica, e i sindacati.

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Statali, corsia per il lavoro agile

Un comparto che impiega quasi 200 mila persone tra i dipendenti ministeriali, quelli delle Agenzie fiscali e degli enti economici come l’Inps o l’Inail. Per i lavoratori che documentino particolari esigenze di salute, o che assistano familiari con disabilità, o in situazione di gravità ai sensi della legge 104 del 1992, ma anche per i genitori con figli piccoli, la bozza di contratto prevede la possibilità di concordare un numero di giorni di lavoro da remoto anche superiori a quelli svolti in presenza.

L’obbligo di dover svolgere la maggior parte del lavoro in ufficio, era stato voluto dall’ex ministro per la Pubblica amministrazione Renato Brunetta, per condurre il comparto statale fuori dall’emergenza pandemica. Il lavoro agile adesso, invece, torna sul tavolo delle trattative sindacali con la prospettiva di renderlo più semplice per le categorie fragili e per i genitori con figli. Ma il percoso del rinnovo del contratto dei pubblici dipendenti si preannuncia in salita. Alcuni sindacati hanno già chiesto di incrementare le risorse a disposizione per gli aumenti, con l’obiettivo di ottenere almeno un altro 0,5 per cento, una somma simile a quella che nell’ultimo contratto era stata concessa dal governo per la riforma dell’ordinamento professionale. Questa tranche di aumento, che si andrebbe ad aggiungere allo scatto del 5,78 per cento finanziato nella manovra dello scorso anno, costerebbe circa un miliardo di euro per tutti i comparti. Difficile si riesca ad ottenere date le condizioni dei conti pubblici. Così altri sindacati, chiedono che si vada avanti e si firmi subito la parte economica facendo arrivare gli aumenti il prima possibile in busta paga.

IL PASSAGGIO

C’è però un nodo che dovrà essere sciolto. Riguarda lo “scalino” determinato dal taglio del cuneo contributivo. Superati i 35 mila euro lordi di stipendio, anche di un solo euro, si perde la decontribuzione che, secondo i calcoli dell’Upb, vale 1.100 euro netti l’anno. I dipendenti pubblici che si trovano in quella fascia di reddito, insomma, rischiano di vedersi praticamente azzerati gli aumenti contrattuali dalla perdita della decontribuzione. Un problema molto sentito anche nel settore sanitario, dove tra gli infermieri c’è un gran numero di dipendenti con redditi vicini alla soglia. Probabile però, che per sciogliere questo nodo bisognerà attendere la prossima manovra di Bilancio, quando il governo potrebbe mettere mano ad una riforma del taglio del cuneo introducendo dei correttivi per evitare l’effetto “tagliola”.

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