Torna nel calendario civile dell’Italia la festa di San Francesco come festività nazionale (il voto sarà in questa settimana alla Camera e subito dopo al Senato, con larga maggioranza) e torna questa celebrazione perché la figura del santo di Assisi — che verrà celebrato ogni anni il 4 ottobre, data della sua morte 800 anni fa — risponde a molte esigenze della società contemporanea. Al bisogno di pace, innanzitutto. Ma anche all’esigenza di stringere i vincoli comunitari, e nessuno come il Patrono d’Italia — la cui festa fu abolita nel 1977 durante i cosiddetti anni di piombo della contrapposizione più cruenta — risponde meglio di lui a questa necessità di stare uniti in una fase burrascosa del mondo. E ancora, torna la festa di San Francesco perché le diseguaglianze sociali sono sempre più fitto e il Poverello di Assisi era quello che stava con gli ultimi, i fragili, i poveri. E ancora, il santo poverello, il giullare di Dio, il mistico, il fondatore dell’Ordine dei Francescani è stato l’inventore della poesia in lingua italiana, ha svolto insomma un compito unitario ante litteram e dunque da Patrono d’Italia a Patriota d’Italia (a fratello d’Italia) per giocare con le parole e lui di quest’intimo di esercizi era un divertente maestro?
E comunque Francesco è stato una delle figure più venerate della cristianità e più rispettate della laicità.
Merita la festa che sta per essergli restituita, su proposta di FdI e Noi Moderati. E ha ragione Aldo Cazzullo nel suo nuovissimo libro biografico sul santo di Assisi: “San Francesco è la parte migliore di noi”.
Fu abolita la festa del 4 ottobre in anni di di contestazione e di scelte laiciste, certo, ma soprattutto per questione di soldi, perché anche le solennità hanno un costo e persino i giganti della storia, come il santo di Assisi, ne fanno le spese. Ora è un tempo diverso.
La pace è la sintesi somma dell’attualità di Francesco. Attratto da ragazzo dalla cosiddetta “arte” della guerra, prese le armi per la ghibellina Assisi contro Perugia la guelfa, fece scorrere il sangue, chissà, probabilmente uccise. Restò ferito, fu fatto prigioniero e cadde malato. Ma proprio l’esperienza della violenza aprì in lui la breccia della conversione, la compassione per i piccoli del mondo, quella febbre d’amore che lo porterà a predicare la fratellanza verso ogni creatura. È da questa scoperta che discende tutto il resto: se il Padre è uno per tutti e se tutti siamo suoi figli, la pace, la solidarietà, la compassione, la condivisione, il dialogo tra culture e religioni, il rispetto per ogni forma di vita e di creatura diventano conseguenze naturali.
È questo anche oggi il senso di un 4 ottobre festa nazionale e non solo religiosa. Pace, fraternità, solidarietà, tutela dell’ambiente è una trinità molto francesca e molto sentita oggi da tutti.
In un’Europa che è tornata a tremare sotto il fuoco dei bombardamenti, mentre impazza l’annientamento disumano e capillare della popolazione palestinese, capro espiatorio della ferocia di Hamas, il messaggio di San Francesco è forse l’unico antidoto che ancora può fermare la scelleratezza.
Non si tratta di utopia un po’ romantica, si tratta di storia: infuriava la quinta Crociata e nulla aveva da invidiare in quanto a crudeltà a ciò che avviene oggi. Era il 1219, poco più di otto secoli fa, e Francesco (lo stesso che pochi anni prima aveva sognato sì le Crociate, ma di partire come guerriero) salpò da Ancora per raggiungere il “nemico”, il sultano al-Malik al- Kamil, e proporgli la pace. Il sultano non si convertì, ma riconobbe in Francesco un uomo di Dio, desiderò ardentemente dialogare con lui e instaurare un’amicizia fraterna. Oggi quel gesto è considerato un evento storico di portata immensa, l’inizio del dialogo possibile tra religioni e culture.
E allora, chi potrebbe contrastare il ripristino del 4 ottobre? Nessuno, si spera proprio nessuno.
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