«C’è un forte interesse per l’Italia da parte dei grandi capitali, con Roma che certamente è un polo di attrazione internazionale. Finora poi, i dazi americani non determinati hanno grandi delocalizzazioni: visti i continui cambi di marcia del governo Trump, gli imprenditori sono per lo più rimasti a produrre nel Paese e in Europa». Francesco Salvatori, head of group financial instructions & international network di Unicredit, non ha dubbi: l’Italia e Roma, nonostante le sfide geopolitiche e macroeconomiche del momento, hanno una grande capacità di resilienza e mantenere la loro attrattività legata alle eccellenze.
«Dalla moda al turismo, passando per il design e il food — ha spiegato Salvatori durante il panel intitolato “Finanza e mercati globali: prospettive strategiche”, moderato dal caporedattore de Il Messaggero Christian Martino con la giornalista del Tg5, Costanza Calabrese — i fondi internazionali sono interessati alle storie di crescita, per questo investono in Italia». «Così le multinazionali, tramite diverse partnership — ha aggiunto — si alleano con i nostri campioni industriali e della manifattura per vendere da noi e nel mondo: il nostro Paese è depositario di alcune importanti eccellenze minimamente replicabili in nessuna altra parte del pianeta».
LE RIFORME
Nonostante questo, secondo Salvatori, «l’incertezza sui dazi pesa su investitori ed aziende, per cui l’Italia e l’Europa devono approfittarne, cogliendo la sfida al loro interno: se gli storici partner commerciali diventano meno affidabili va sviluppata la domanda domestica e bisogna approvvigionarsi direttamente nel Vecchio Continente con le tecnologie ei beni ad alto valore aggiunto che finora cercavamo negli States». In ogni caso, ha concluso Salvatori, «mentre negli Usa c’è il rischio di una stagflazione, con l’aumento in salita mentre l’economia rallenta, l’Europa cresce grazie all’inedito traino dei Paesi del Sud».
D’altronde la Germania, come ha sottolineato il presidente dell’Ispi, Franco Bruni, « non è più quel regno di sicurezza finanziaria che era fino a qualche anno fa: ora che il Paese sta per indebitarsi anche investendo in Bund sarà percepito in modo diverso. In questo scenario l’Italia deve cercare di contribuire a un mercato finanziario davvero unico solido al livello Ue, con banche multinazionali, regole unificate e anche il via libera alla riforma del Mes». Al livello globale, invece, per Bruni è necessario «riformare il Fondo monetario internazionale, unendo i voti europei, dando più spazio alle economie emergenti, riducendo il peso americano e rinnovando il management. Ma anche rafforzare il sistema di ristrutturazione dei debiti di 40 Paesi in via di sviluppo, un’innovazione comunque positiva portata dal G20 a guida italiana nel 2020».
GLI INTERVENTI
La finanza può poi significare sviluppo dei territori e sostegno al welfare pubblico, laddove gli enti locali non riescono ad arrivare con le loro risorse. Ne è un esempio l’operato della fondazione bancaria Crt, la terza per grandezza in Italia.
«Ci sono due livelli di intervento — ha spiegato la presidente Anna Maria Poggi -. Il primo è quello della singola fondazione sui vari territori italiani: vengono così distribuiti 200 milioni l’anno, aiutando il terzo settore e in particolare minori, anziani e persone con handicap, ma anche sostenendo arte e cultura ad esempio con i restauri. Il secondo livello è quello della rete di fondazioni a sostegno dell’economia nazionale, con interventi capillari per l’innovazione». «Noi — ha concluso Poggi — facciamo tutto questo con l’obbligo di non intaccare il patrimonio e sfruttando una grande capacità interna di utilizzare la finanza per reperire risorse importanti a favore della cittadinanza».
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