18.05.2025
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Politics

«Rischio escalation, Israele eviti la trappola»


Il rischio di un’escalation in Libano, il faccia a faccia con Xi Jinping, i rapporti con la Commissione europea, e… «gli spaghetti in brodo». In un angolo della hall dell’hotel Regent, Giorgia Meloni traccia in venti minuti un bilancio dei tre giorni trascorsi a Pechino dicendosi «molto soddisfatta» dai «risultati concreti» raggiunti per «rafforzare la cooperazione» e «riequilibrare la bilancia commerciale» tra l’Italia e l’ex impero celeste. Prima di partire alla volta di Shanghai per un incontro con il segretario del Comitato municipale del Partito Comunista e membro in ascesa del Politburo Chen Jining, la premier ha commentato con la stampa l’incontro con il presidente della Repubblica popolare cinese, sottolineando «franchezza» e «trasparenza» di un confronto incentrato tanto sull’idea italiana «di rimuovere gli ostacoli per i nostri prodotti» esportati in Cina, quanto «sull’agenda internazionale».

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Una questione «di coerenza» puntualizza la premier, respingendo le accuse di aver compiuto una «giravolta» sulla via della Seta recapitate da Giuseppe Conte, che da ex premier siglò gli accordi contestati nel 2019. «Io ho sempre detto che l’Italia avrebbe dovuto uscire e che questo non avrebbe compromesso i rapporti» è il ragionamento scandito da Meloni un attimo prima di lasciare l’hotel assieme alla figlia Ginevra a bordo di una Hongqi (letteralmente “Bandiera rossa”), auto di produzione cinese storicamente utilizzata dai funzionari del partito Comunista. «Capisco le sue difficoltà perché promise il riequilibrio della bilancia commerciale» affonda contro il leader del Movimento 5 stelle, ma «nel 2022 quando siamo arrivati noi produceva un disavanzo per l’Italia di 41 miliardi di euro, quindi evidentemente non ha funzionato».

LA SITUAZIONE INTERNAZIONALE

Se sul fronte economico la missione ha «definito degli accordi di cornice» senza entrare nel merito dei singoli investimenti (e quindi senza chiarire se, quando o quali compagnie cinesi della green mobility hanno realmente intenzione di aprire uno stabilimento produttivo nella Penisola) ma affrontando anche i temi della cantieristica navale e della transizione energetica, sul fronte diplomatico la premier e Xi si sono confrontati principalmente su Ucraina e Medio Oriente. Il centro delle riflessioni meloniane ha riguardato l’incompatibilità tra «la globalizzazione economica» e «la messa in discussione del diritto internazionale». Ovvero, se il sostegno cinese alla produzione industriale russa finisse con il «non avere nessuna convenienza», Pechino potrebbe infine «smettere di sostenere» Mosca, rendendo Xi Jinping «soggetto risolutore» con «un ruolo dirimente». Un ruolo che in virtù dei rapporti coltivati con diversi attori regionali (specie l’Iran) può interessare anche il Medioriente, che «preoccupa molto» Meloni. La premier teme infatti una «escalation» e ancora una volta torna ad invitare Israele «a non cadere nella trappola» tesa da «certi attori regionali» che sembrano alzare la tensione «ogni volta che ci si avvicina al cessate il fuoco».

LA COMMISSIONE

A chi chiedeva del piatto che ha preferito tra quelli assaggiati durante le cene istituzionali, Meloni ha risposto rifugiandosi in un quasi italianissimo «spaghetti in brodo» (con tanto di gesto con la mano), dando il là alle domande sui temi più nostrani. Dalla Cina la premier infatti conferma i contatti in corso con la Commissione per l’indicazione di un candidato italiano (che però arriverà solo dopo «un confronto con la maggioranza», «c’è tempo fino al 30 agosto), smentendo invece il deterioramento dei rapporti dopo la risposta Ue alla lettera inviata da Roma a Ursula von der Leyen sul rapporto sullo stato di diritto. Nessun «momento di frizione» garantisce né «ripercussioni negative», ma solo «una riflessione comune sulla strumentalizzazione che è stata fatta di un documento tecnico». Non ce l’aveva con la Commissione, conclude, ma con alcuni «stakeholders come il Domani, Repubblica e il Fatto quotidiano», rei di aver «strumentalizzato» il documento. Il perché, invece, lo abbia comunicato a rue de Berlaymont, la premier ha preferito non chiarirlo.

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