Dopo la legge sui capitali, il governo prova a completare la riforma dei mercati finanziari con una riscrittura profonda del Tuf, il testo unico della finanza. E le novità che emergono dalla bozza del provvedimento esaminato ieri dal pre-consiglio dei ministri, e alla quale ha lavorato incessantemente il sottosegretario all’Economia Federico Freni, sono numerose. A partire dalla soglia dell’Opa, l’offerta pubblica obbligatoria, che torna al 30 per cento, dopo che per le imprese più grandi era stata ridotta al 25 per cento. Ma il leit-motive della riforma è la semplificazione. L’intento è attirare capitali verso il mercato borsistico italiano con l’introduzione del sistema anglossassone delle “limited partnership” rivolte ai private equity e ai venture capital, ai regimi semplificati per i fondi alternativi, fino all’introduzione delle società in accomandita per azioni con molte deroghe alla disciplina codicistica. Arrivano anche delle norme “anti rumors” e delle novità rilevanti sul fronte delle Opa residuali obbligatorie e non. Oltre a qualche norma, come quella dell’esclusione dell’obbligo di pubblicità finanziaria sui giornali, che costituisce un nuovo colpo all’editoria e che sicuramente farà discutere.
I CONTENUTI
È probabile che oggi Giancarlo Giorgetti spieghi la riforma durante il suo intervento in Assonime, l’associazione che riunisce le spa. Ma andiamo con ordine.
Il cuore della riforma del Testo unico della finanza, datato ormai 1998 e scritto sotto la supervisione di Mario Draghi all’epoca direttore generale del Tesoro, è una nuova disciplina per le Opa. Il faro è la graduale eliminazione di tutte quelle norme che hanno reso meno competitivo il mercato dei capitali italiano rispetto a quello di altre piazze europee. Tornare a una sola soglia superata la quale dover lanciare l’offerta, senza differenza tra grandi aziende e pmi è una di queste. Le Opa si faranno anche più economiche. Per calcolare il prezzo dell’operazione, infatti, il calcolo sarà sui prezzi in borsa di sei mesi e non di un anno. Dalla prassi anglosassone il governo ha invece deciso di mutuare, ponendo dei paletti che altrove non ci sono, lo schema dell’acquisto totalitario delle azioni su autorizzazione dei soci. In pratica la società che ha portato avanti l’Opa potrà scegliere il socio che potrà acquistare le restanti quote. Per farlo dovrà però avere il via libera di due terzi del capitale più un terzo della minoranza, quindi dell’85%.
Ci sarà poi un maggiore controllo sulle indiscrezioni che girano attorno a possibili operazioni. Nel caso di notizie riguardanti eventuali opa, Consob potrà chiedere chiarimenti alla società indicata come pronta a lanciare l’offerta. Se quest’ultima non darà sufficienti spiegazioni o non confermerà l’interessa allo scatterà un blocco di anno, durante il quale non potrà lanciare eventuali Opa sulla quotate considerata, secondo i rumors, oggetto dell’operazione.
Con la riforma ci sarà anche meno spazio per i cosiddetti “disturbatori” in assemblea, i soci che con due o tre azioni intervengono e allungano i tempi. Le discussioni saranno limitate ai soci che hanno almeno lo 0,1% del capitale. Più in generale la riforma mira comunque a favorire le assise svolte tramite il rappresentante designato, pur con tutele con i soci di minora.
La riforma introduce inoltre semplificazioni per le matricole di Borsa e per le quotate con meno di un milione di euro di capitalizzazione, che potranno derogare da alcune regole. Arrivano anche regole per il passaggio dai listini regolamentati ai cosiddetti sistemi multilaterali di negoziazione, ossia dai listini principali all’Euronext Growht Market di Piazza Affari.
Spazio infine a meccanismi di confronto con Consob più semplici e con minori oneri amministrativi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Risparmio e investimenti, ogni venerdì
Iscriviti e ricevi le notizie via email