Fumata bianca. Sbuffa dal caminetto del centrodestra a fine serata, quando una nota congiunta della coalizione mette il bollo sulle candidature alle prossime Regionali. Fratelli d’Italia lascia il Veneto alla Lega, per il dopo-Zaia correrà il vicesegretario federale Alberto Stefani. In Puglia il civico Luigi Lo Buono, in Campania contro la corazzata guidata da Roberto Fico scende in campo il meloniano doc Edmondo Cirielli. «La coalizione, come sempre, darà il massimo supporto ai suoi candidati» chiosa il comunicato partorito durante il vertice a quattro a Palazzo Chigi, nel pomeriggio, tra Giorgia Meloni, Antonio Tajani, Matteo Salvini e Maurizio Lupi.
L’intesa
Eureka. Si chiude così, dopo settimane di trattative febbrili e qualche tensione, il risiko sui territori. Con un tris calato dall’alto. Promesse ufficiali, nere su bianco. Altre invece scritte in filigrana. Come l’impegno della Lega, chiesto personalmente da Meloni, a riconoscere un diritto di prelazione di Fratelli d’Italia sul candidato governatore in Lombardia, al voto tra tre anni. «Il candidato presidente in Lombardia non è legato al Veneto» si scansa Salvini con una nota fuoriuscito dal round di riunioni. Salvo precisare che il nome per la Lombardia «sarà annunciato al momento opportuno, riconoscendo il diritto di individuare il candidato presidente, da scegliere con la coalizione, al partito con il più recente maggior peso elettorale in Lombardia precedente le elezioni».
Ecco il segnale. L’impegno scritto che fa pregustare il Pirellone alla destra nata dentro al Raccordo anulare, oggi in testa ai sondaggi. «Vinceremo in tutte le Regioni», osa il leader Udc Antonio De Poli. È stata un’altra giornata da cardiopalma per la maggioranza. Serve un passo indietro per raccontarla.
Metà mattina, Palazzo Madama. In una stanzetta del Senato va in scena un vertice ristretto. È il gran giorno delle regionali. Tocca sbrogliare la matassa dei candidati. Si parte dalla Campania, oggetto di una furiosa lite, martedì, tra Fratelli d’Italia e Forza Italia. I primi schierano Cirielli, viceministro agli Esteri, primissima fila del partito. Gli azzurri frenano: ha parlato male di Berlusconi in una serie di chat private, rivelate dal libro “Fratelli di Chat”, deve prima fare ammenda.
Al Senato l’incontro che sblocca l’impasse. Si vedono Cirielli, Martusciello, Maurizio Gasparri e Giovanni Donzelli. «Non ho mai parlato male di Berlusconi, per lui ho sempre avuto stima e rispetto» mette a verbale poco dopo il “Fratello”campano. Arriva la schiarita e il placet finale di Forza Italia: «È il candidato ideale». Resta da risolvere il rebus Veneto. Ne parlano Meloni e gli alleati nel vertice pomeridiano. Clima “cordiale”. E un altro semaforo verde: l’eredità del “Doge” Zaia cadrà sulle spalle di Stefani, enfant prodige leghista (ha trentatrè anni). «Per me è l’onore più grande» commenta il numero due del partito cresciuto a pane e politica. Ma tutto ha un prezzo. Meloni ha scritto da tempo il conto della “concessione” veneta. La Lombardia, appunto.
Lo scambio al Nord
Mentre i leader sono riuniti arriva una prima apertura da Massimiliano Romeo, segretario lombardo della Lega. «Sceglieremo insieme il candidato». A fine giornata la bolla ufficiale sull’accordo da parte del “Capitano”. A scegliere il nome per il dopo-Fontana al Pirellone, spiega Salvini, sarà il partito con più voti. Ecco la contropartita. E non è detto che sia l’unica. A margine del conclave a quattro Meloni e il vice leghista si fermano a parlarne a tu per tu. Discutono delle “compensazioni” politiche da qui ai prossimi mesi. La premier rivendica, sondaggi alla mano, l’approdo al Nord. C’è tempo. Intanto la fumata bianca. Che ridesta umori e ambizioni del centrodestra alle amministrative. «Schlein e Conte sognavano la spallata al governo» — sogghignano dal cerchio stretto meloniano a giochi fatti — e finiranno per slogarsi la spalla».
Francesco Bechis
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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