ROMA Non sono vecchi, né nuovi amici. Ma si parlano e si incontrano e non è un dettaglio in queste settimane di autoscontri tra Roma e Bruxelles. Giorgia Meloni riceve a Palazzo Chigi Antonio Costa, neo-presidente del Consiglio europeo, ex premier portoghese e prima fila dei socialisti. È la prima tappa del tour di presentazione del neo-eletto presidente del Consiglio europeo.
I PRECEDENTI
Un mese fa, quando i leader degli Stati membri lo hanno votato in coro, solo lei, la presidente del Consiglio italiano, ha mostrato un pollice verso. «Non condividiamo il metodo», disse allora infastidita dai caminetti di Macron e Scholz per decidere in autonomia i top-jobs europei. Ed è questo il messaggio recapitato di nuovo dalla premier in un’ora di colloquio a tu per tu con l’interlocutore, in un clima però assai più disteso. A pochi giorni dal voto contrario di Fratelli d’Italia ad Ursula von der Leyen che ha rimescolato le carte a Bruxelles. Il vertice con Costa è un primo segnale di disgelo? Difficile dirlo, anche se il tempismo è eloquente. È stato lui, il portoghese, a scegliere Roma come prima tappa. E uscito da Palazzo Chigi per una passeggiata in centro affida parole al miele ai cronisti in piazza:
«È stato un ottimo incontro di lavoro, per me è importante adesso valutare quali sono le prospettive e le priorità dei vari membri, e poiché l’Italia è un paese fondatore dell’Ue è importante sapere e prendere nota delle priorità della premier Meloni». Musica per le orecchie della timoniera di Palazzo Chigi che da giorni, da quando ha detto no all’Ursula-bis, batte su un punto: l’Italia, terza economia europea, non deve temere ripercussioni e rappresaglie per una scelta politica. Con una nota, la premier restituisce l’assist.
Da Palazzo Chigi spiegano che nell’ora di vis-a-vis sono stati discussi «metodi di lavoro del Consiglio Europeo, con l’obiettivo di valorizzarne ulteriormente il ruolo e l’efficacia». Tradotto: stop a caminetti e a quell’asse Parigi-Berlino che troppo spesso prova a tagliare fuori Roma. Altrimenti ci saranno conseguenze. E infatti Meloni fa sapere di aver apprezzato, fra i primi propositi del neo-presidente del consesso dei leader Ue, quello di «assicurare una leadership condivisa e pragmatica del Consiglio Europeo». Sul tavolo, fa sapere ancora il governo italiano, «le priorità di azione Ue per il prossimo ciclo istituzionale, a partire dai principali scenari di crisi a livello internazionale e dai temi della competitività e della gestione dei flussi migratori».
Insomma, l’agenda dei prossimi cinque anni. E le priorità segnate in rosso dall’Italia, che guarda-caso corrispondono a due possibili portafogli della prossima Commissione europea che hanno gli occhi della destra al governo puntati addosso. Il primo: la concorrenza. Una delega delicata e assai ingombrante, per responsabilità e risorse gestite, nonché spinosa per un Paese come l’Italia che spesso finisce sotto la tagliola della Commissione proprio per aver violato le regole di mercato. Balneari, tassisti, ambulanti: per ogni categoria, c’è un braccio di ferro con i funzionari dell’esecutivo Ue, la richiesta di deroghe, proroghe, eccezioni alla regola. Difficile forse ambire a tanto, specie dopo lo strappo all’Europarlamento di Strasburgo. Più probabile che quel portafoglio finisca nelle mani salde e ingenerose di uno dei Paesi “frugali” del Nord Europa. Ma il tema resta e l’Italia farà presente, quando nei prossimi giorni ripartirà un dialogo operativo tra Meloni e von der Leyen, la necessità di un cambio di passo. Ad esempio sulla Bolkestein, la grande legge sulla concorrenza Ue che il centrodestra tutto vorrebbe rivedere. Quanto all’immigrazione, Meloni chiede all’Ue un segnale concreto, e non solo retorico, per un «cambio di paradigma». Cioè un endorsement al modello del Piano Mattei, lo stanziamento di fondi comunitari per finanziare i Paesi africani di partenza e fermare alla radice i traffici di esseri umani. Costa è d’accordo, ma sarà in mano di von der Leyen, e non sua, il pallino per la prossima legislatura.
LA LINEA
Resta convinta la premier italiana che la rieletta presidente della Commissione non ha nessuna convenienza a tagliare fuori dai giochi il suo governo né intenda “vendicare” il voto contrario di FdI. Del resto, ragiona con i suoi Meloni, i numeri in aula della nuova Commissione sono ballerini e avrà bisogno di maggioranze variabili sui singoli provvedimenti. Dunque anche dei ventiquattro voti di FdI e degli altri eurodeputati conservatori. Intanto la premier impone ai suoi prudenza — niente scontri gratis con i vertici Ue, please — e rompe il ghiaccio a Palazzo Chigi. E c’è chi batte le mani fuori dalla maggioranza. Sorpresa: è Paolo Gentiloni, ex premier e Commissario Ue, maggiorente Pd. «Non ci saranno ripercussioni nel rapporto tra Meloni e von der Leyen e la premier ha fatto bene a ricevere Costa».
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