Matilde, Marco, Margot e Matteo. Sono i nomi di quattro ragazzi morti nell’ultimo anno per inseguire un sogno. Quello di diventare campioni sugli sci. Sono morti su piste d’allenamento evidentemente non sicure, tracciati killer forse non adeguatamente controllati né dalle federazioni nazionali né da quella internazionale. La tragica scomparsa di Matteo Franzoso, deceduto in un incidente in Cile (archiviato dai locali in fretta e furia come una fatalità) dopo aver sbattuto la testa contro una staccionata distante solo sei metri dal bordopista, ha acceso il dibattito. Perché per troppi anni si è fatto finta di non vedere, forse per interessi economici o per troppa superficialità. Il coro che parte dalle famiglie rimaste senza i loro figli è unanime: «Rendete sicuri gli allenamenti degli atleti». Sì, perché i ragazzi che gareggiano nelle competizioni mondiali o che andranno alle Olimpiadi invernali di Milano Cortina, non hanno la possibilità di esercitarsi su tracciati con parametri simili a quelli di uno da gara. Addirittura è facoltativo indossare l’airbag, che però la Fis ha reso obbligatorio per le competizioni di velocità dello sci alpino (SuperG e discesa) a livello di Coppa del Mondo. Quando è stata presa la decisione? A novembre 2024, un mese dopo la morte di Matilde Lorenzi. «Ci sono delle fasi di cambiamento, ma sono molto lente» dice Marco Pastore racing director Dainese, azienda veneta che fornisce il D-air agli atleti. «Con l’airbag siamo partiti nel 2011 ma solo quest’anno si stanno definendo le regole da parte della Federazione internazionale per utilizzarlo dopo diversi rinvii. Le cose adesso si muoveranno nella direzione giusta, dispiace che prima debba succedere una tragedia. Il prossimo passo sarà migliorare la sicurezza dei caschi, fare un tavolo di lavoro, definire degli standard e poi produrli. Ma deve essere una cosa congiunta come hanno fatto in MotoGp».
LA SVOLTA
Non è solo una questione di dotazioni tecniche e materiali, ma è anche un problema di come organizzare le piste d’allenamento. Queste dovrebbero rispettare gli stessi parametri di quelle usate per le gare: larghezza adeguata, ostacoli nelle vicinanze protetti con le migliori reti di sicurezza, pannelli imbottiti e barriere flessibili, devono essere presenti zone di fuga nelle curve pericolose e percorsi ben marcati. Inoltre va istituito un organismo di controllo che ispezioni e certifichi le piste periodicamente. Se tutto questo fosse stato già legge, forse Franzoso non ci avrebbe rimesso la vita. La sua scomparsa sta accelerando le decisioni. Al funerale del Sestriere erano presenti il Ministro per lo Sport e i Giovani Abodi e il Ministro dell’Economia e delle Finanze Giorgetti. Abodi si è detto pronto ad aprire un tavolo tecnico con il presidente della Federazione Sci, Flavio Roda. Aperture sono arrivate anche da Johan Eliasch, presidente della Federazione internazionale, che è pronto all’omologazione delle piste di allenamento per garantire condizioni sicure: «Possiamo fare da apripista per mettere la sicurezza al primo posto». Dichiarazioni, promesse e lettere aperte che ora devono rapidamente trasformarsi in fatti concreti. Almeno è questo quello che si augura Adolfo Lorenzi, papà di Matilde morta a ottobre 2024 durante un allenamento: «Siamo giunti al capolinea e dobbiamo dare la svolta. Ho visto immagini di piste d’allenamento dopo l’incidente di Matilde che gridavano orrore: muri di neve, mezzi in azione mentre gli atleti si allenavano. Bisogna regolamentare in maniera urgente. Nello sci i materiali hanno avuto un’evoluzione incredibile, ma la tecnologia della sicurezza è rimasta a 20 anni fa. Bisogna imporre regole diverse».
FINANZIAMENTI
Perché allora non è stato fatto? Semplice, il tutto ha un costo che le federazioni nazionali non possono sostenere da sole. C’è bisogno di finanziamenti pubblici e di quelli della Fis. Sulla titolarità delle piste, infatti, c’è un intreccio di competenze legato sia al gestore, sia alla Federazione che convoca l’allenamento su quella pista. Non è ancora chiaro quale ente abbia la responsabilità di far sì che tutto sia adeguato e in sicurezza. Negli Stati Uniti, ad esempio, ci sono dei gestori che hanno investito nel mettere in sicurezza alcuni tracciati e ospitare così dei team di allenamento. Un esempio è il comprensorio sciistico di Copper Mountain in Colorado. L’altra sfida sarà adeguare un numero significativo di discese, in modo da poter accogliere tutti gli atleti e consentire loro un tempo di allenamento adeguato. C’è poi un altro nodo da sciogliere ed è quello dei materiali troppo preformanti. È possibile che in futuro la Federazione debba mettere un limite al tipo di materiali utilizzati per diminuire la velocità degli atleti. Esistono degli sci stabili, ma talmente rigidi che non cedono e quando c’è l’errore l’atleta rischia di essere catapultato. Oltre agli airbag integrati, già affiancati in Coppa del Mondo dagli indumenti anti-taglio, si potrebbero introdurre caschi con maggiore capacità di assorbimento degli urti e paraschiena di nuova generazione. E poi rendere obbligatoria la presenza di unità mediche specializzate lungo il tracciato, con ambulanze e elisoccorso pronti a intervenire. Cambiare le regole in allenamento non è più soltanto una possibilità: è un dovere imprescindibile. Ogni rinvio equivale ad assumersi la responsabilità di nuovi rischi e di altri incidenti che potrebbero costare la vita a giovani atleti.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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